venerdì 16 settembre 2016

Congo: la MONUSCO non ferma le pulizie etniche L'accusa nei confronti degli uomini schierati dall'ONU nel Paese




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Durante l’inchiesta de L’Indro sulle pulizie etniche in corso da un anno nelle località di Beni, Bunia, Lubero e Butembo, Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo, abbiamo raccolto decine di testimonianze che incolpano la missione di pace ONU MONUSCO di complicità con le milizie genocidarie. Un’accusa molto grave supportata da centinaia di testimonianze e rapporti redatti dalla società civile e dai capi villaggio che, stranamente non sono mai riusciti a convincere le Nazioni Unite ad aprire una indagine all’interno del Comando militare della MONUSCO per verificare la veridicità delle accuse rivolte da una intera popolazione.
Smantellato il falso mito di un gruppo terrorista potente ed unico attore delle pulizie etniche contro l’etnia Nande, le testimonianze raccolte nel Nord Kivu evidenziano una incomprensibile passività dei Caschi Blu a proteggere i civili. Una passività che infrange il loro mandato e rischia di sconfinare in corresponsabilità di tentato genocidio. Riportiamo di seguito testimonianze relative a massacri etnici avvenuti nel distretto di Beni.
Maggio 2015 massacro presso il villaggio Kalongo. Sei vittime, incluso il capo villaggio e sua moglie. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, un nutrito gruppo di miliziani attaccò il villaggio nelle prime ore del pomeriggio rapendo diverse ragazze, razziando oggetti di valore, bruciando le case e uccidendo degli innocenti. Le violenze durarono tre ore. Vari abitanti del villaggio contattarono immediatamente il numero di emergenza dei responsabili MONUSCO per informarli dell’attacco. Vennero informati anche i posti militari dell’esercito regolare. I Caschi Blu giunsero sul luogo dell’eccidio la mattina dopo nonostante la loro base militare di Mavivi sia collocata a soli 3km dal villaggio. Un comunicato stampa della MONUSCO redatto per l’occasione afferma di aver ricevuto le segnalazioni telefoniche solo alle 22:30, diverse ore dopo le violenze a Kalongo. L’attivista congolese Bekere dimostrò ai media nazionali i messaggi SMS inviati al Comando MONUSCO della base Mavivi. Cinque i messaggi inviati tra le 15.10 e le 15.45 del pomeriggio. “È una precisa tattica della MONUSCO quella di arrivare sul luogo quando l’attacco è terminato. Forse non vogliono essere coinvolti in scontri a fuoco o forse non vogliono disturbare certe loro conoscenze” affermò Bekere.
Notte tra il 4 e il 5 luglio 2016, villaggio di Oicha, 30 km dalla città di Beni. Nove vittime tra cui cinque donne. Secondo la testimonianza del amministratore di territorio Amisis Kalonda, le milizie attaccarono il villaggio verso le 4 del mattino. Lo stesso Kalonda informò immediatamente il contingente malawiano della Brigata di Pronto Intervento della MONUSCO e la quarta brigata di fanteria dell’esercito congolese chiedendo immediato intervento. I soldati malawiani giunsero verso le 11 della mattina successiva e quelli congolesi non si fecero nemmeno vedere. I malawiani furono accolti dalla folla inferocita per la mancata assistenza con un nutrito lancio di pietre e furono costretti a ritornare alla loro base che dista 2 km dal luogo del massacro. La caserma dei soldati congolesi dista 800 metri dal villaggio attaccato. Nessun soldato FARDC è uscito a proteggere i civili.


7 luglio 2016 villaggio di Eringeti. Ore 8 del mattino. 19 vittime tra le quali cinque donne incinta e quattro bambini dai 6 agli 11 anni. Il massacro è avvenuto a distanza di 800 metri dalla base militare nepalese della MONUSCO senza che nessun casco blu sia uscito a proteggere i civili durante il massacro durato 2 ore. “Il nemico ha concentrato un nutrito fuoco contro la nostra base per impedire che potessimo uscire in soccorso ai civili” afferma il comandante della base nepalese. Le testimonianze dei sopravvissuti negano questa versione. Alcuni video sono stati pubblicati sui social. Nei video si vede in lontananza la base militare MONUSCO non soggetta ad attacchi mentre gli spari e le grida provengono alle spalle della persona che stava filmando. Questa mancata assistenza ha creato un forte imbarazzo alle Nazioni Unite ma nessuna inchiesta è stata aperta e il comandante nepalese della base non è stato rimosso dal suo incarico. Vicino alla base MONUSCO è stazionato un battaglione di fanteria congolese. Il comandante del battaglione confermò ai media nazionali la mancata assistenza. “Eravamo coscienti dell’attacco. Vedevamo le esplosioni e sentivamo le grida delle vittime, ma non abbiamo ricevuto nessun ordine di intervenire”. Dopo tale affermazione il comandante è stato rimosso dal suo incarico e richiamato a Kinshasa. Sospettando il peggio ha disertato rifugiandosi in Tanzania.
Questi tre episodi riportati precedono o seguono altre 24 massacri dove nè l’esercito regolare nè i Caschi Blu sono intervenuti in difesa della popolazione. «La popolazione del Nord Kivu rimane indifesa dagli attacchi delle bande criminali. Per questo è veramente ostile verso la MONUSCO. Vedono migliaia di soldati ben armati con potenti mezzi logistici, carri armati ed elicotteri da combattimento ma nessuna di queste moderne meraviglie belliche è messa a disposizione per prevenire i massacri, difendere i civili, attaccare le ben note basi ribelli della regione. È ora chiaro che la MONUSCO non vuole salvare una sola vita congolese. I Caschi Blu sono teoricamente la più potente forza armata presente in Congo ma non riescono a sconfiggere ne pensano di farlo, 140 miliziani ugandesi male armati  e disorganizzati militarmente. Come si può credere che una forza internazionale di 14.000 uomini composta da 12 eserciti stranieri non riesca a sconfiggere questi banditi? Tutto è ridicolo. Che la comunità internazionali dia a noi direttamente il 1,4 miliardi di dollari relativi al costo annuale di mantenimento MONUSCO in Congo. Come meno di un terzo di questa astronomica somma riusciremo a sconfiggere militarmente tutti i gruppi militari presenti nel Nord Kivu e il resto lo utilizzeremo per ricostruire i villaggi, compensare le famiglie delle vittime e inaugurare nuove scuole ed ospedali».
Questa il duro attacco pronunciato a Goma il 14 luglio 2016 dal Governatore del Nord Kivu Julien Paluku di origine Nande. Il 20 luglio il Governatore fu costretto da Kinshasa a ritrattare le dichiarazioni fatte e a chiedere umilmente scusa alla MONUSCO. Scuse che non furono rese pubbliche da Paluku. Non è la prima volta che il Governatore del Nord Kivu denuncia la MONUSCO. Nell’ottobre 2015 Paluku e la società civile del Nord Kivu accusarono i Caschi Blu di aver attaccato un villaggio della regione di Pinga saccheggiandolo e uccidendo 5 civili. Accusa rigettata dalla MONUSCO ma mantenuta dal Governatore che chiese al Palazzo di Vetro a New York di aprire una indagine indipendente senza mai ricevere risposta.

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