lunedì 18 maggio 2015

Cina: prima base militare in Africa



Pechino spinge verso la realizzazione del sogno di Gheddafi, gli United States of Africa

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Kampala - Nonostante le vive proteste della Casa Bianca, il Presidente Ismail Omar Guelleh ha concesso l’autorizzazione allEsercito Popolare Cinese di costruire una base militare presso il porto di Obock, a Nord della capitale di Djibouti. L’autorizzazione fa seguito alla firma del trattato di cooperazione militare tra il piccolo ma strategico Stato africano e il gigante asiatico firmato nel febbraio 2014. Pechino ha preceduto questa inattesa mossa con ingenti finanziamenti a fondo perduto per la realizzazione di infrastrutture a Djibouti per un valore di 9 miliardi di dollari che comprendono il rinnovo e l’ampliamento di porti, aeroporti e reti stradale e ferroviaria. Il finanziamento era stato considerato dagli economisti come un tentativo di favorire il commercio dell’Etiopia, un Paese che non ha più sbocco sul mare dopo l’indipendenza dell’Eritrea avvenuta negli anni Novanta. Ora si comprende la ragione recondita di questi doni: la possibilità di avere la prima base militare in Africa.
La scelta di Djibouti è in primo luogo strategica. La Città-Stato si affaccia sul canale Bab al-Mandeb che separa l’Africa dalla Penisola Arabica, la principale rotta marittima per il commercio mondiale tra il Mediterraneo, il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Il primo beneficiario arabo della presenza militare cinese sarà indubbiamente l’Iran, antico e fedele alleato di Pechino. Non si può che constatare anche un certo grado di sfida alle potenze occidentali che hanno a Djibouti le loro basi militari ufficialmente per la lotta contro il terrorismo internazionale e la pirateria del Golfo Arabico. Stati Uniti e Francia condividono la base di Camp Lemonnier dove sono presenti le flotte aero-navali e i reparti di fanteria delle due potenze occidentali. Camp Lemonnier è la principale base militare per la coordinazione e l’intervento in vari teatri di guerra dallo Yemen alla Somalia, attualmente utilizzata dall’aviazione Saudita per la sua illegale campagna militare contro lo Yemen che sta causando una ecatombe tra i civili del martoriato Paese arabo.
Camp Lemonnier ospita anche le truppe speciali  franco-americane di pronto intervento con il compito di prevenire eventuali ‘focolai eversivi’ che si possono verificare in Africa, che tradotto in linguaggio corrente significa la protezione degli interessi delle multinazionali occidentali nel Continente. Da Djibouti sono partite le prime truppe francesi per lottare contro i ribelli Tuareg in Mali o contro i ribelli musulmani nella Repubblica Centroafricana. In entrambi i Paesi la Francia ha fatto cadere i Governi democraticamente eletti sostituendoli con il caos politico e l’orrore delle guerre etniche o religiose. Anche il Giappone ha una base a Djibouti dove è stanziata parte della sua flotta militare. L’imminente presenza della flotta cinese aumenterà le già tese relazioni tra Pechino e Tokyo. Durante le commemorazioni della vittoria sovietica sulle forze naziste avvenute a Mosca sabato scorso il presidente Xi Jinping ha messo in guardia il Giappone che l’Esercito Popolare aumenterà la sua vigilanza contro ogni tentativo di imperialismo nipponico nel Sud Est asiatico dopo la propaganda revisionista del governo giapponese rispetto all’occupazione della Manciuria e al relativo genocidio commesso contro la popolazione cinese negli anni Quaranta.
Il Presidente Barack Obama ha giudicato la decisione del suo omologo Djibutino un grave errore di valutazione che potrebbe incrinare seriamente le relazioni tra i due Paesi. Il Presidente Guelleh ha ricordato che Djibouti non è una colonia occidentale ma uno Stato sovrano con pieno diritto di firmare o disdire accordi di collaborazione militare con i vari attori internazionali. La mossa decisa da Pechino è un chiaro segnale che la Cina ha deciso di difendere con mezzi tipicamente occidentali la sua seconda fase di penetrazione del Continente africano. La prima fase: esportazione di materie prime e idrocarburi  e potenziamento delle infrastrutture sembra destinata a diminuire sensibilmente per far posto alla seconda fase di conquista continentale. Una fase molto pericolosa per gli equilibri occidentali in Africa che prevede l’alleanza politica economica e militare di vari Paesi africani con la Cina e l’avvio del processo di industrializzazione del Continente finanziato dalla neonata Banca Asiatica, diretta concorrente e pratica alternativa agli istituti finanziari occidentali: FMI e Banca Mondiale controllati rispettivamente da Francia e Stati Uniti.
Secondo gli strateghi di Pechino la Cina può vincere la guerra geo-strategica contro l’Occidente rivoluzionando i rapporti con gli Stati Africani. Trasformandoli da satelliti coloniali e serbatoi di materie prime in partner commerciali e politici di pari importanza. Oltre agli alleati tradizionali quali Eritrea, Sudan e Zimbabwe, la Cina sta conquistando baluardi americani quali Etiopia, Kenya, Rwanda e Uganda. Particolare attenzione è posta da Pechino verso le potenze regionali. Questo spiega gli ingenti investimenti, supporti politici e alleanze con Kampala, Luanda e Pretoria. La politica di non interferenza negli affari interni di Stati Sovrani verrà mantenuta ma con la variante militare. Questa variante prevede lutilizzo dellArmata Popolare Cinese in tutti i Paesi dove gli interessi della Cina e dei suoi alleati africani sono messi a repentaglio. Un’anticipazione della nuova dottrina di intervento militare cinese è stato il Sud Sudan dove Pechino ha inviato 600 soldati d’élite, ufficialmente sotto mandato ONU per proteggere le popolazioni dalle violenze commesse dalle parti belligeranti durante il conflitto scoppiato nel dicembre 2013.
In realtà il contingente cinese in Sud Sudan ha pieno mandato offensivo ed opera autonomamente dai caschi blu dell’ONU, appoggiando le truppe governative e l’esercito ugandese nelle offensive attuate contro la ribellione del ex Vicepresidente Riek Machar. La Cina sta giocando anche un importante ruolo diplomatico nel continente. Ha impedito la guerra tra Sudan e Sud Sudan nel 2007 e nel 2011, mantiene in vita il moribondo regime del Presidente sud sudanese Salva Kiir e il regime di Robert Mugabe. Pur non riconoscendo ufficialmente lo stato della Somaliland, Pechino è il principale partner economico e primo interlocutore politico della ex colonia somala britannica staccatasi nel 1991 dal resto del Paese sprofondato in una eterna guerra clanica. Rwanda e Uganda stanno aumentando i loro sforzi diplomatici al fine di convincere Pechino ad assumere un ruolo più attivo nella Regione dei Grandi Laghi sopratutto ai danni dell’attuale dittatura del Presidente congolese Joseph Kabila.
A questa richiesta Pechino risponde con estrema cautela e molte riserve. Il Congo è uno dei suoi partner regionali dove le multinazionali cinesi stanno facendo affari milionari nella realizzazione di infrastrutture pubbliche. Pechino inoltre teme di non riuscire a controllare il caos che potrebbe generare una eventuale balcanizzazione della Repubblica Democratica del Congo, Paese di cui delle cui complicate dinamiche politiche e sociali gli strateghi cinesi sono pressoché ignari. Fonti diplomatiche informano che la Casa Bianca aumenterà nelle prossime settimane gli sforzi (anche economici) per convincere il Presidente Djibutino Guelleh a revocare l’autorizzazione concessa alla Cina relativa alla prima base militare in Africa. Sforzi che sembrano destinati al fallimento. Negli ultimi due anni il presidente Guelleh ha rafforzato i legami con il Dragone Rosso che è diventato il primo partner economico della piccola nazione del Corno d’Africa.
Nel 2014 la Cina ha modernizzato le infrastrutture portuali di Djibouti e una compagnia cinese ha preso in mano la gestione commerciale del porto sostituendo la precedente amministrazione di una ditta Arabo-Americana accusata di corruzione ed inefficienza. La strategia cinese nel continente non prevede confronti militari contro le potenze occidentali ma una lenta ed inesorabile distruzione delle alleanze politiche economiche tra l’Occidente e i Paesi Africani. Compito facilitato dalla sempre più evidente opposizione popolare contro le ex potenze coloniali e gli Stati Uniti che fino ad ora hanno impedito lo sviluppo economico e lunione politica del continente relegandolo al ruolo coloniale di riserva di materie prime e petrolifere. Dopo la seconda fase (partenariato economico e rivoluzione industriale) Pechino ne prevede altre due: creare il Made in Africa, anche grazie alla delocalizzazione delle industrie cinesi che usufruirebbero di mano d’opera meno cara rispetto a quella in madre patria, e l’unione politica africana: l’antico sogno del Colonnello Muammar Gheddafi degli United States of Africa.
La maggioranza delle cancellerie africane (sopratutto quelle anglofone) approvano in pieno la strategia cinese considerata un ottimo e potente mezzo per contrastare le pressanti ingerenze politiche dell’Occidente dettate da una fame ormai spropositata di profitti e materie prime per mantenere economie moribonde e antiche glorie di potenze mondiali. LAfrica agli africani è la parola dordine che è ormai diffusa in tutto il continente. Occorre però che i vari Governi verifichino attentamente il rischio di passare da un padrone ad un altro. La domanda del secolo è semplice: la Cina può essere un partner affidabile su cui costruire mutue e convenienti relazioni tra pari o un nuovo impero coloniale travestito al momento da disinteressato benefattore della razza negra? Al momento un dato storico è certo: lincapacità dellOccidente di mantenere il controllo sul Continente che ha dato origine allumanità causa lutilizzo ormai inappropriato e controproducente delle tecniche tipiche dei tempi della Guerra Fredda. Interferenze politiche, finanziamenti di colpi di stato, guerriglie, guerre civili, sanzioni unilaterali, sostegno di dittature, missioni di pace, aiuti umanitari, strumentalizzazione del rispetto dei diritti umani secondo le convenienze del momento,  minacce di tribunali internazionali per giudicare crimini di guerra o contro l’umanità. Tutte tattiche che l’Africa ripudia nutrendo ormai un odio atavico verso i Bianchi, memore dei mille genocidi e violenze devastatrici Made in France o in USA.

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