lunedì 25 maggio 2015

Burundi, iniziano gli scontri a Bujumbura



Africa

SI parla di massacri, mentre oscura la sorte di Godefroid Niyombare. E' il preludio alla guerra civile?

A protester runs in front of a burning barricade during a protest against Burundi President Pierre Nkurunziza and his bid for a third term in Bujumbura
Venerdì 22 maggio 2015 nella capitale del Burundi, Bujumbura, si sono verificati scontri armati nei quartieri di Mutakura e Cibitoke tra la popolazione e reparti della polizia. Gli scontri, iniziati alle prime ore del mattino, sono durati fino a tarda serata. Secondo testimonianze oculari la polizia e decine di terroristi ruandesi FDLR con indosso uniformi della polizia hanno attaccato i civili con l’obiettivo di porre fine alla resistenza popolare e massacrare gli attivisti assieme alle loro famiglie. I quartieri di Mutakura e Cibitoke sono noti per essere a maggioranza tutsi. I combattimenti con utilizzo di armi automatiche e mitragliatrici pesanti sono avvenuti  casa per casa. La polizia e i terroristi ruandesi sono stati sconfitti nella serata grazie all’intervento di milizie popolari provenienti dai vicini quartieri di Kinama e Kamenge (quartiere famoso in quanto luogo del triplice assassinio ordinato dal governo delle tre suore italiane avvenuto nel settembre 2014). Il bilancio ufficiale è di due morti tra la polizia, ma secondo quanto riportato da testimoni oculari il bilancio da entrambe le parti sarebbe altissimo, donne e bambini compresi.
L’intervento delle milizie popolari di neonata costituzione di Kinama e Kamenge è politicamente significativo in quanto questi due quartieri (a maggioranza hutu) sono finora stati considerati i feudi e i serbatoi di voti del CNDD-FDD e del presidente Nkurunziza. La battaglia di Mutakura e Cibitoke dimostra che la popolazione rifiuta la contrapposizione etnica tutsi-hutu ma è unita contro il regime. Dimostra anche che il CNDD-FDD sta perdendo significative fette di elettorato. I quattro quartieri: Mutakura, Cibitoke, Kinama e Kamenge, sono ora di fatto zone off limits per il governo, controllate da non ben definite ‘milizie di auto difesa popolare’. La notizia è stata confermata da fonti diplomatiche occidentali che affermano che di fatto la guerra civile nel Paese sembra iniziata.
Gli scontri nei quartieri rappresentano il fatto più eclatante della crisi burundese. Nonostante la recente vittoria sul tentativo rivoluzionario appoggiato dall’esercito, l’opposizione popolare al presidente Nkurunziza sembra non affievolirsi così come la determinazione del presidente, ex criminale di guerra, a mantenere il potere. Nel week-end si è assistito ad una escalation della crisi ormai avviata allo scontro militare. Venerdì, oltre alla battaglia avvenuta nei quartieri di Mutakura e Cibitoke, una manifestazione popolare è stata dispersa nella capitale dalla polizia che ha sparato sulla folla: bilancio 2 morti e 18 feriti.
Squadroni della morte composti da miliziani Imbonerakure e terroristi ruandesi FDLR con l’appoggio della polizia stanno tentando di massacrare gli attivisti più importanti della resistenza popolare assieme alle loro famiglie. La maggioranza di questi attivisti è di etnia hutu. Ad ogni manifestante o rappresentante della società civile brutalmente assassinato corrisponde un poliziotto trucidato con la sua famiglia ad opera di non ben definiti gruppi armati che si definiscono “la Resistenza”. Questi gruppi sono autori anche di varie imboscate e scontri a fuoco che stanno avvenendo in tutto il Paese. Sia essi che le forze lealiste hanno redatto liste della morte ed abbattono le vittime con l’antica ma efficace tecnica regionale “A’ morcheaux” (a pezzi) utilizzando i machete, con l’evidente obiettivo di risparmiare le preziose munizioni. I massacri non raggiungono però il livello necessario per dichiarare che un genocidio sia in atto nel Paese, impedendo agli eserciti ugandese e ruandese di intervenire sotto copertura giuridica internazionale.
Sospetti gravano su Uganda e Rwanda di organizzare questi gruppi armati della “Resistenza” nel tentativo di far cadere il regime evitando una invasione militare diretta, giustificabile solo dinnanzi ad un genocidio, che per fortuna per il momento stenta a verificarsi. Nel Paese stanno entrando armi leggere e pesanti a tutto spiano, sia dalla frontiera con il Congo sia da quella ruandese. Le armi vengono distribuite alla parte più determinata dei civili che si è schierata da parte dell’opposizione o del governo. Il governo è seriamente preoccupato del proliferare di armi tra i civili in quanto nei passati anni almeno 5.000 ex guerriglieri impiegati dal CNDD-FDD durante la guerra civile (1993-2004) non sono stati assorbiti nell’esercito o nella polizia per problemi di budget. Sono stati semplicemente dismessi. Ora circolano tra la popolazione e molti di essi nutrono odio e rancore verso un partito per cui hanno combattuto sacrificando i migliori anni della loro gioventù. Un partito che, giunto al potere, li ha cinicamente abbandonati al destino di disoccupazione cronica e degradante povertà. Molti di essi stano passando dalla parte della guerriglia hutu di opposizione del Fronte Nazionale di Liberazione FNL.
Rimane avvolta nel mistero la sorte del leader dell’ammutinamento delle forze armate, il Generale Godefroid Niyombare. Il governo afferma che è stato arrestato mentre stava fuggendo un giorno dopo che il presidente Nkurunziza riprese il controllo del Paese. L’opposizione afferma che è a piede libero nascosto all’interno del Paese con 200 soldati a lui fedeli. Starebbe organizzando la resistenza armata. Difficile comprendere la verità anche se nessun comunicato da parte del Generale Niyombare è stato emesso dopo la sua vera o presunta cattura. Potrebbe trattarsi di un mito che tutti i movimenti rivoluzionari necessitano per galvanizzare la popolazione in rivolta.
L’Unione Africana ha chiarito che ogni intervento militare straniero è giustificabile solo a prevenzione di un genocidio. Fonti diplomatiche avvertono che, sottobanco, l’istituzione africana avrebbe chiesto al presidente ugandese Yoweri Museveni di ristabilire la democrazia in Burundi utilizzando ogni mezzo che riterrà adeguato alla situazione. Esisterebbero divergenze sul modus operandi tra Kigali e Kampala. Il Rwanda sta addestrando qualche centinaio di tutsi burundesi per formare una forza di invasione – liberazione come avvenne nel 1991 proprio in Rwanda. L’Uganda avverte che questa forza può essere solo di supporto complementare e non un fattore decisivo in quanto questo dovrebbe essere rappresentato dalla guerriglia hutu guidata dal FNL. Il presidente ugandese Museveni ha deciso, per il bene del Burundi e della regione, che la forza di liberazione deve essere composta per la maggioranza da hutu e il prossimo presidente un Hutu moderato capace di superare l’odio etnico istigato da Nkurunziza. Nei piani regionali di Kampala non vi è posto per un esercito di liberazione tutsi ne per un presidente tutsi. Questa strategia sembra essere coerente con la realtà sul terreno dove le due classi sociali dimostrano di cooperare politicamente e militarmente per abbattere il regime senza tentativi di egemonizzare la situazione da parte di hutu e tusti.
Le informazioni riportate non trovano conferme ufficiali presso Unione Africana, Uganda e Rwanda. Le due potenze regionali si stanno innervosendo con i media che riportano notizie di loro presunte interferenze nella politica interna del Burundi. Occorre sottolineare che le interferenze di Kampala e Kigali non solo le uniche nella regione. La Repubblica Democratica del Congo, sotto esplicito ordine del presidente Joseph Kabila, ha inviato delle compagnie della Guardia Presidenziale in supporto al presidente Nkurunziza che agiscono sotto copertura. Anche se i vertici delle forze democratiche dell’esercito sono stati decimati, il presidente non ha potuto riprendere il controllo delle forze armate. Al momento attuale la  maggior parte dell’esercito continua ad essere confinato nelle caserme. Il presidente ormai può contare solo sui mercenari congolesi, le milizie genocidarie Imbonerakure e sui terroristi ruandesi. Anche all’interno della polizia sembra che l’appoggio al regime stia per sgretolarsi. Sempre più reparti sono sospettati di simpatizzare con la popolazione se non per convinzione ideologica per paura di essere trucidati assieme alle loro famiglie. Per questo varie unità di polizia vengono mantenute inattive nelle caserme. Molti terroristi ruandesi e mercenari congolesi utilizzano per i loro atti terroristici uniformi della polizia dando cosi’ l’impressione che l’intero corpo della polizia sia compatto nella difesa del regime.
Il presidente Nkurunziza, nel tentativo di mantenere il potere, si sta alienando l’opinione pubblica internazionale causa insensati e controproducenti atti di violenza gratuita. Ha ordinato la seconda fase di repressione basata su attentati terroristici compiuti dalle FDLR. Sabato 23 maggio diverse granate sono state gettate dai terroristi ruandesi all’interno del mercato generale a Bujumbura uccidendo almeno 6 persone e ferendone una trentina. La maggioranza delle vittime sono mamme e nonne che stavano cercando di comprare le derrate alimentari (ormai scarse nella capitale) per nutrire le loro famiglie. Nello stesso giorno è iniziato il piano di eliminazione fisica dei candidati alle elezioni presidenziali. Il presidente del partito UPD Zed Feruzi è stato barbaramente assassinato da agenti dei servizi segreti assieme alla sua scorta personale. Domenica 24 maggio i suoi funerali sono stati presenziati da oltre 12.000 persone e trasformati in una condanna politica al regime. La sua morte ha costretto altri leader dell’opposizione a cercare nascondigli sicuri all’interno del Paese.
Questi inauditi atti di violenza stanno creando una determinazione all’interno del Congresso e dell’Amministrazione Obama che ora sembra non voler più rispettare gli accordi presi con la Francia riguardo alle sfere di competenza regionale che sottoporrebbero Congo e Burundi sotto la giurisdizione di Parigi. Sempre più uomini del Congresso e consiglieri della Casa Bianca stanno suggerendo al presidente di optare per l’abbattimento del regime che è ormai un pericolo per gli alleati regionali: Uganda e Rwanda. Simile posizione dovrebbe essere stata adottata contro il presidente congolese Joseph Kabila. Secondo indiscrezioni diplomatiche la Casa Bianca starebbe appoggiando il piano di Pax Ugandese. Un piano che tende a eliminare gli elementi considerati eversivi e pericolosi per la stabilità regionale. Tra questi elementi sono elencati i governi congolese, burundese e i terroristi ruandesi FDLR. Il regime dispodico del presidente sud sudanese Salva Kiir non rientra nella categoria per ovvie convenienze economiche di gestione dei giacimenti petroliferi.
La Pax Ugandese si basa sull’appoggio delle rivendicazioni democratiche che sono evidenti in Burundi ma che stanno crescendo sempre più nella Repubblica Democratica del Congo al fine di appoggiare movimenti rivoluzionari pro democrazia contro i regimi “nemici”. Una tattica largamente utilizzata dagli Stati Uniti negli anni Ottanta Novanta con il finanziamento di vari movimenti “Arancioni” comparsi nell’Europa dell’Est. Una volta stabilizzata la regione l’unione economica e le immense risorse naturali presenti, se accuratamente amministrate, apporterebbero benessere e sviluppo. Per controbilanciare le mire espansionistiche dell’Uganda gli Stati Uniti avrebbero imposto come candidato alla futura presidenza del Congo (una volta eliminato Kabila) il dottor Denis Mukwege, un congolese di etnia Shi che abita a Bukavu (Sud Kivu), direttore dell’Ospedale di Panzi e famoso a livello internazionale per il suo impegno alle cure gratuite delle donne vittime di stupri di guerra e nella lotta contro il traffico dei minerali all’est del Congo gestito da una associazione a delinquere creata tra la Famiglia Kabila e i leader terroristici FDLR.
Contattato, Mukwege non conferma l’esistenza di trattative politiche con la Casa Bianca anche se non nega le sue mire presidenziali. Vittima di minacce del governo di Kinshasa vive presso l’ospedale di Panzi protetto da agenti speciali belgi e americani. Dai colloqui avuti nel passato con Mukwege ho sempre notato posizioni politiche tese ad eliminare la promozione dell’odio etnico e la Rwandafobia. Posizioni che mirano all’integrazione sociale, politica ed economica della regione che, a suo avviso, rafforzerebbero il necessario processo di moralizzazione e ricostruzione civile ed economica del suo Paese. Il principale benefattore dell’Ospedale di Panzi è la Famiglia Clinton che a più riprese ha ospitato Mukwege nella loro residenza per colloqui privati e confidenziali. L’ultima visita è avvenuta lo scorso gennaio. Hillary Clinton ha forti possibilità di essere la candidata per i Democratici alla Presidenza.
Solo la Francia rimane ancorata nella difesa ad oltranza del regime razzial nazista di Nkurunziza. Anche l’ex potenza coloniale, il Belgio (storicamente alleata a Parigi), ha preso ufficiali distanze dal governo Nkurunziza. «Un terzo mandato presidenziale porrebbe l’esecutivo burundese in un pericoloso stato di illegittimità e non permetterebbe il rispetto degli accordi di pace di Arusha» ha affermato in un comunicato stampa il Ministro belga degli Affari Esteri. La Chiesa Cattolica (lacerata al suo interno in una segreta ma terribile lotta tra falchi e colombe) ha scelto il silenzio impedendo ai suoi rappresentanti nazionali e stranieri in Burundi di esprimersi a favore del governo o della popolazione. “Una posizione ambigua ma sempre preferibile al diretto coinvolgimento della Chiesa Cattolica nel genocidio del Rwanda nel 1994” afferma un attivista della società civile burundese contattato telefonicamente e protetto dall’anonimato.
Il Sudafrica ha iniziato manovre diplomatiche non ufficiali all’interno dell’Unione Africana per ottenere sanzioni contro il Burundi e una sua eventuale sospensione da Stato Membro. Anche se questa notizia non è stata confermata, le recenti critiche espresse dal presidente Jacob Zuma evidenziano la netta posizione di Pretoria contro l’attuale regime. Grazie agli eccessi repressivi e alle violenze gratuite attuate dal regime si sta creando una coalizione internazionale che parte dalle potenze militari economiche della regione e raggiunge l’Unione Africana e gli Stati Uniti impegnati segretamente nel progetto di normalizzazione della regione sopra descritto. Un progetto che per essere attuato con successo deve contenere le resistenze delle Nazioni Unite, Unione Europea e gli appoggi reazionari del governo francese e parte del mondo cattolico regionale ed europeo.
Secondo il parere di Luigi Elongui, attivista di tematiche africane che vive a Parigi, l’uccisione di Zedi Feruzi avrebbe vanificato un tentativo della Francia, tramite mediazione delle Nazione Unite, di portare l’opposizione e il governo al dialogo “una manovra per far accettare il terzo mandato in cambio di concessioni aleatorie riguardanti la liberazione dei prigionieri politici e la riapertura delle radio chiuse e distrutte”. La tattica del dialogo (ad esclusivo vantaggio del regime razial-nazista), promossa da alcuni settori della Chiesa Cattolica, ritorna in auge ora riproposta dalla Cellula Africana del Eliseo. Non è la prima volta che si nota una convergenza tra la politica neo colonialista francese (tesa al controllo delle risorse naturali) e alcune settori cattolici su scottanti tematiche della regione dei Grandi Laghi. L’ultima fu il tentativo attuato nel 2014 di far accettare al governo di Kigali la trasformazione dei terroristi ruandesi FDLR in partito politico e la proposta di formare assieme a loro un governo di unità nazionale. Il tentativo naufragò difronte alla intransigenza del presidente Paul Kagame che chiarì l’impossibilità di trattare con chi aveva commesso il genocidio nel 1994, nonostante misteriose riunioni ad alto livello di dirigenti FDLR avvenute a Roma. La tesi del Elongui sembra trovare conferma in alcuni ambienti politici ugandesi.
Il conflitto sociale chiaramente giocato sul piano politico e non etnico sta facendo collassare l’economia del Paese già resa fragile da dieci anni di illimitata rapina delle risorse naturali e finanziarie attuata dal presidente Nkurunziza e da una stretta cerchia di politici e militari del CNDD-FDD molti dei quali coinvolti in operazioni criminali e mafiose nell’est del Congo e nella regione dei Grandi Laghi in generale. La valuta nazionale, il Franco Burundese, è collassata dinnanzi al dollaro e all’euro spingendo la maggioranza della popolazione a comprare le valute occidentali divenute ora bene di rifugio. Esperti economici del ‘New York Times’ affermano che il sistema fiscale del Paese ha cessato di esistere e nelle casse dello Stato non ci sono fondi necessari per pagare gli stipendi dei 132.000 funzionari pubblici. La situazione catastrofica viene tenuta segreta dal governo burundese che sta disperatamente cercando un finanziamento estero per pagare i salari dei dipendenti pubblici per i prossimi quattro mesi. Un obiettivo che sembra difficile da raggiungere. Da informazioni ricevute anche la Cina si sarebbe rifiutata di concedere un prestito straordinario e qualche diplomatico del Dragone Rosso avrebbe ironicamente suggerito che i soldi vengano trovati dai conti esteri intestati al presidente e ai suoi cloni. Il mancato pagamento dei salari dei dipendenti pubblici è una spada di Damocle sul regime che non si può permettere una protesta di questo settore dove sono inclusi anche gli agenti di polizia.
Uno dei lati più oscuri e vergognosi del terrore imposto dal regime riguarda l’utilizzo dei bambini di strada. Testimonianze di bambini di strada raccolte da ‘Al-Jazeera’, rivelano che spesso sono vittime innocenti della repressione delle forze di polizia. Una denuncia confermata da Johannes Wedening, responsabile UNICEF della regione. “Abbiamo notato un allarmante aumento delle violenze commesse dalla polizia contro i bambini di strada” afferma Wedening. Attivisti della società civile denunciano che decine e decine di bambini di strada vengono abbattuti durante la notte. Approfittando del caos il governo avrebbe deciso di eliminare fisicamente questi bambini che si contano a centinaia nelle vie della capitale. Bambini orfani di genitori morti durante la guerra civile o per malattie. Il governo nega le accuse ammettendo però che 130 minori sono in carcere, arrestati per attività sovversive non ben specificate. “I manifestanti utilizzano i minori come scudi umani. Gli fanno incendiare i copertoni nelle strade ed erigere le barricate” accusa il responsabile degli “affari tribali” del governo burundese: Mohammed Bukari. Un personaggio di dubbia credibilità. Un mussulmano rinnegato dalla sua comunità in Burundi, che ha accettato di dirigere un dipartimento che ha il reale obiettivo di promuovere la supremazia razziale hutu nel paese…
Nonostante che molte accuse del governo siano evidentemente strumentali, testimoni oculari indipendenti affermano che vari minori sono coinvolti nelle manifestazioni della opposizione ed invitano i genitori e i manifestanti ad impedire la loro presenza. “Non solo per i bambini di strada ma anche per gli altri minori, il caos attuale e gli scontri di piazza sono un divertimento molto attraente. Non hanno la minima capacità di comprendere che si tratta di un gioco mortale” avverte l’attivista della società civile contattato telefonicamente.

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