lunedì 26 agosto 2013

Chi è Stato? – Il decesso di Marcello Lonzi nel carcere di Livorno



da Tiziana Barillà (Note) Lunedì 13 maggio 2013 alle ore 16.48
Un mistero irrisolto. Il decesso di Marcello Lonzi nel carcere di Livorno, dieci anni fa. Caso archiviato per morte naturale, ma la madre chiede verità. E un processo. In questi giorni sarà presentata la domanda per riaprire le indagini

Caso chiuso. Archiviato. Marcello Lonzi, 28 anni, è morto per un collasso cardiaco l’11 luglio di dieci anni fa nel carcere Le Sughere di Livorno. Era finito dentro con l’accusa di tentato furto, condannato a nove mesi, ne aveva scontati quasi la metà. «Si può morire d’infarto con la mandibola fratturata, due buchi in testa, il polso sinistro rotto, due denti spaccati, un’escoriazione a V, otto costole rotte?», si chiede la madre di Marcello, Maria Ciuffi. Da quel giorno non ha mai smesso di chiedere la verità sulla morte del figlio.
Dal 2002 a oggi sono stati 1.036 i decessi all’interno degli istituti penitenziari italiani. Mille morti in dieci anni: metà suicidi, l’altra metà per malattia o cause “da accertare”, con indagini giudiziarie ancora in corso. Duecento i casi non risolti. Ogni volta è una vita spezzata, venti volte su cento è l’inizio di una guerra per la verità. Come per Aldrovandi, Cucchi, Uva, Ferrulli. Ma anche come per Marcello Lonzi, che un processo non lo ha ancora avuto. «Combatto dal 2003 e non sono mai riuscita ad arrivare in aula. Basta guardare le foto di mio figlio e poi chiedersi se sia morto per infarto», racconta Maria Ciuffi. Quelle foto Maria le ha rese pubbliche più volte, le è stato anche chiuso l’account facebook per la violenza di quelle immagini. Incongruenze, silenzi, fretta di archiviare. Sin dal primo momento, come ci racconta Maria: «Ho saputo della sua morte solo il giorno dopo. Non mi hanno avvisata né i carabinieri, né la polizia, ma una zia di mio figlio. Ero appena tornata da lavoro, mi stavo per cambiare, quando sento suonare alla porta e lei mi dice: Marcellino è morto. Sono corsa al carcere dove mi hanno tenuta più di un’ora fuori, al sole. Le guardie erano al cancello, mi guardavano ma non mi dicevano niente», prosegue. «Poi ho scoperto che mentre io aspettavo davanti al carcere, all’obitorio del cimitero di Livorno gli stavano facendo l’autopsia. La notizia era già sui giornali: Il Tirreno riportava “morto d’infarto”, La Nazione che si era suicidato. Li ho chiamati entrambi ed entrambi mi hanno detto che era stata la direzione del carcere a dir loro così».

Sono muri alti quelli degli istituti penitenziari. È difficile guardarci dentro. Come difficile è riuscire a sostenere i carichi dispendiosi della giustizia. «Quello che ho potuto vendere l’ho venduto, anche l’anima a momenti. Combatto da sola», dice Maria. «Il padre di mio figlio si è fermato, perché non può credere che le guardie lo abbiano picchiato». Al suo fianco da settembre c’è l’avvocato Erminia Donnarumma. Insieme in questi giorni stanno provvedendo a presentare nuove istanze alle autorità competenti. Ma il legale preferisce non scendere nei dettagli «per non compromettere questa fase così delicata», dice. «Speriano che attraverso le indagini delle autorità si possa capire cosa sia davvero successo. Perché è chiaro che non è andata come dicono».
Terzo tentativo. Già due volte la signora Ciuffi ci aveva provato, come conferma l’avvocato Donnarumma: «Ci sono state varie istanze e varie richieste con l’avvocato che mi ha preceduto. La signora Ciuffi ha addirittura fatto un ricorso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ma è stato respinto come irricevibile», spiega Donnarumma. In particolare, c’è stata una prima autopsia nell’immediatezza dell’accaduto, poi una riesumazione e una nuova autopsia. E da quest’ultima sono emersi nuovi elementi assenti nella prima relazione del tribunale. «Per esempio delle strane tracce di vernice in una delle ferite al volto che arriva fino all’osso e lo segna», dice il legale. «Queste non sono state campionate. Sono state fotografate dal consulente di parte ma non sono state nemmeno prese in considerazione nella relazione del perito. Quindi hanno chiuso il caso di nuovo». Un caso complesso che si è trasformato in un’enorme mole di documenti: «Ci sono voluti mesi per rileggere tutta la documentazione. Per mettere in fila e analizzare i fatti. E ne sono emerse delle incongruenze secondo me spaventose», continua Donnarumma. «Ci sono anche diverse testimonianze che non collimano».

Maria Ciuffi in questi anni ha ascoltato i compagni di cella, gli altri detenuti. Ha fatto ciò che il «pm avrebbe dovuto fare», chiosa. E ci racconta un episodio: «Mentre facevo lo sciopero della fame fuori dal carcere incontrai tre detenuti che mi raccontarono delle cose, e io feci in modo che il magistrato li sentisse. Uno di loro venne interrogato davanti a me, per la prima volta», prosegue, e sintetizza così quell’interrogatorio: «Così ho saputo che Marcello alla mattina “si era preso” verbalmente con un appuntato e che alle tre e mezzo del pomeriggio li chiusero nelle celle. Si sentì correre su e giù, e voci sconosciute. Quando il magistrato gli chiese dettagli sulle voci sconosciute, lui rispose: non quelle delle guardie di tutti i giorni. Ma non si vedeva niente. Si sa che è successo qualcosa, ma non si sa cosa. Solo la mattina dopo ci dicono che Lonzi è morto. E lì ci sono stati anche un po’ di tafferugli». Quella testimonianza non è che una piccola parte della lunga “indagine privata” che Maria Ciuffi ha condotto in questi dieci anni. E che continua ancora, come dice l’avvocato: «Io e la signora Ciuffi ci siamo occupate di contattare persone che erano detenute nello stesso carcere. Abbiamo cercato di ricomporre tutta la vicenda. Noi da sole, senza i mezzi di cui può disporre l’autorità. Lo abbiamo fatto in proprio. E adesso tutto ciò è agli atti. Quello che abbiamo trovato conferma quanto sospettavamo».
«Per lo Stato è come se Marcello non fosse mai esistito», dice Maria. E il suo avvocato rincara: «Hanno cercato di ostacolarla in ogni modo. E non si capisce il perché. È la madre di un ragazzo che è morto e pretende chiarezza. Che le si spieghi quantomeno cosa è successo. Non può essere liquidato tutto come una morte naturale. Io continuerò a essere al suo fianco, finché lei vorrà. Nonostante i problemi che abbiamo affrontato e quelli che sicuramente verranno».

di Tiziana Barillà
left n.17 del 4 maggio 2013


Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo: Aiutate Maria Ciuffi ad ottenere giustizia per suo figlio Marcello Lonzi- Firmate questa petizione

http://www.change.org/it/petizioni/corte-dei-diritti-dell-uomo-di-strasburgo-aiutate-maria-ciuffi-ad-ottenere-giustizia-per-suo-figlio-marcello-lonzi?share_id=CuJpuCOqeR&utm_campaign=friend_inviter_ch



Nessun commento:

Posta un commento