mercoledì 30 maggio 2012

LELIO BASSO : "QUELLA PARATA E' CONTRO LA REPUBBLICA"



Questa è la lettera che Lelio Basso - uno dei padri della Costituzione italiana- scrisse all’allora ministro della Difesa Arnaldo Forlani che decise di sospendere la parata militare del 2 giugno 1976 dopo il terremoto che sconvolse il Friuli.

Sono personalmente grato al ministro Forlani per avere deciso la sospensione della parata militare del 2 giugno, e naturalmente mi auguro che la sospensione diventi una soppressione.

Non avevo mai capito, infatti, perché si dovesse celebrare la festa nazionale del 2 giugno con una parata militare. Che lo si facesse per la festa nazionale del 4 novembre aveva ancora un senso: il 4 novembre era la data di una battaglia che aveva chiuso vittoriosamente la prima guerra mondiale. Ma il 2 giugno fu una vittoria politica, la vittoria della coscienza civile e democratica del popolo sulle forze monarchiche e sui loro alleati: il clericalismo, il fascismo, la classe privilegiata. Perché avrebbe dovuto il popolo riconoscersi in quella sfilata di uomini armati e di mezzi militari che non avevano nulla di popolare e costituivano anzi un corpo separato, in netta contrapposizione con lo spirito della democrazia?

C’era in quella parata una sopravvivenza del passato, il segno di una classe dirigente che aveva accettato a malincuore il responso popolare del 2 giugno e cercava di nasconderne il significato di rottura con il passato, cercava anzi di ristabilire a tutti i costi la continuità con questo passato. Certo, non si era potuto dopo il 2 giugno riprendere la marcia reale come inno nazionale, ma si era comunque cercato nel passato l’inno nazionale di una repubblica che avrebbe dovuto essere tutta tesa verso l’avvenire, avrebbe dovuto essere l’annuncio di un nuovo giorno, di una nuova era della storia nazionale. Io non ho naturalmente nulla contro l’inno di Mameli, che esalta i sentimenti patriottici del Risorgimento, ma mi si riconoscerà che, essendo nato un secolo prima, in circostanze del tutto diverse, non aveva e non poteva avere nulla che esprimesse lo spirito di profondo rinnovamento democratico che animava il popolo italiano e che aveva dato vita alla Repubblica.

La Costituzione repubblicana, figlia precisamente del 2 giugno, aveva scritto nell’articolo primo che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.

Una repubblica in primo luogo. E invece quel tentativo di rinverdire glorie militari che sarebbe difficile trovare nel passato, quel risuonare di armi sulle strade di Roma che avevano appena cessato di essere imperiali, quell’omaggio reso dalle autorità civili della repubblica alle forze armate, ci ripiombava in pieno nel clima della monarchia, quando il re era il comandante supremo delle forze armate, “primo maresciallo dell’impero”. Le monarchie, e anche quella italiana, eran nate da un cenno feudale e la loro storia era sempre stata commista alla storia degli eserciti: non a caso i re d’Italia si eran sempre riservati il diritto di scegliere personalmente i ministri militari, anziché lasciarli scegliere, come gli altri, dal presidente del consiglio. Ma che aveva da fare tutto questo con una repubblica che, all’art. 11 della sua costituzione, dichiarava di ripudiare la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali? Tradizionalmente le forze armate avevano avuto due compiti: uno di conquista verso l’esterno e uno di repressione all’interno, e ambedue sembravano incompatibili con la nuova costituzione repubblicana.

Repubblica democratica in secondo luogo. In una democrazia sono le forze armate che devono prestare ossequio alle autorità civili, e, prima ancora, devono, come dice l’art. 52 della costituzione, uniformarsi allo spirito democratico della costituzione. Ma in questa direzione non si è fatto nulla e le forze armate hanno mantenuto lo spirito caratteristico del passato, il carattere autoritario e antidemocratico dei corpi separati, sono rimaste nettamente al di fuori della costituzione. I nostri governanti hanno favorito questa situazione spingendo ai vertici della carriera elementi fascisti, come il gen. De Lorenzo, ex-comandante dei carabinieri, ex-capo dei servizi segreti ed ex-capo di stato maggiore, e, infine, deputato fascista; come l’ammiraglio Birindelli, già assurto a un comando Nato e poi diventato anche lui deputato fascista; come il generale Miceli, ex-capo dei servizi segreti e ora candidato fascista alla Camera. Tutti, evidentemente, traditori del giuramento di fedeltà alla costituzione che bandisce il fascismo, eppure erano costoro, come supreme gerarchie delle forze armate, che avrebbero dovuto incarnare la repubblica agli occhi del popolo, sfilando alla testa delle loro truppe, nel giorno che avrebbe dovuto celebrare la vittoria della repubblica sulla monarchia e sul fascismo. E già che ho nominato De Lorenzo e Miceli, entrambi incriminati per reati gravi, e uno anche finito in prigione, che dire della ormai lunga lista di generali che sono stati o sono ospiti delle nostre carceri per reati infamanti? Quale prestigio può avere un esercito che ha questi comandanti? E quale lustro ne deriva a una nazione che li sceglie a proprio simbolo?

Infine, non dimentichiamolo, questa repubblica democratica è fondata sul lavoro. Va bene che, nella realtà delle cose, anche quest’articolo della costituzione non ha trovato una vera applicazione. Ma forse proprio per questo non sarebbe più opportuno che lo si esaltasse almeno simbolicamente, che a celebrare la vittoria civile del 2 giugno si chiamassero le forze disarmate del lavoro che sono per definizione forze di pace, forze di progresso, le forze su cui dovrà inevitabilmente fondarsi la ricostruzione di una società e di uno stato che la classe di governo, anche con la complicità di molti comandanti delle forze armate, ha gettato nel precipizio?

Vorrei che questo mio invito fosse raccolto da tutte le forze politiche democratiche, proprio come un segno distintivo dell’attaccamento alla democrazia. E vorrei terminare ancora una volta, anche se non sono Catone, con un deinde censeo: censeo che il reato di vilipendio delle forze armate (come tutti i reati di vilipendio) è inammissibile in una repubblica democratica.

Lelio Basso

sabato 19 maggio 2012

Un vile attentato

E' proprio nei momenti di grande crisi economico-sociale-politica che si instaura la strategia della tensione:è il momento che i poteri forti  aspettavano da tempo, per poter realizzare il controllo totale sul popolo. Altri momenti di forti tensioni sociali abbiamo avuto nel passato , tensioni sfociate in attentati di ogni tipo, sia di matrice mafiosa sia di matrice terroristica, ma nessuno oggi poteva mai immaginare che sarebbe accaduto quello che invece in pochi minuti si è verificato nella forma più malvagia e crudele possibile: un attentato alla scuola professionale Morvillo Falcone di Brindisi. Vi rendete conto...ad una scuola, non solo perchè intitolata a chi ha lottato,combattuto e morto per la legalità...è una scuola:
-una scuola è il luogo dove la società civile si raccoglie intorno ai giovani per insegnare loro ad essere i futuri cittadini;
-una scuola è il luogo dove i ragazzi esercitano le loro capacità relazionali;
-la scuola è il luogo dove tutti si allenano per la futura convivenza democratica nella società;
-la scuola è il luogo dove si insegna la cittadinanza attiva attraverso la responsabilità, la partecipazione, la progettualità, la solidarietà, la condivisione;
-la scuola è il luogo dei valori etici dove il bene e la bellezza  sono  valori da trasmettere in un provcesso di formazione mirato al rinnovamento della società odierna;
-la scuola è il luogo dove si sogna il futuro ,tanti futuri e le speranze di uno diventano le speranze di tutti.
Chi ha voluto calpestare tutto questo, perchè di questo ha paura, non ha fatto i conti con il grande potere della cultura e dell'educazione...oggi se la scuola è stata capace di trasmettere tutto questo, chiunque sia stato a commettere questo eccidio è già sconfitto in partenza, nulla potrà contro i valori di una società civile rappresentata dalla scuola.La scuola è il luogo della crescita spirituale ed intellettiva e di questo si ha paura.
(Angela)

venerdì 11 maggio 2012

Amnesty International chiede alle autorità italiane di proteggere i rom dalla violenza

CS56: 10/05/2012

Amnesty International si è dichiarata preoccupata per le notizie relative ai tentativi di compiere attacchi razzisti nella città di Pescara e nei suoi dintorni negli ultimi giorni. Secondo il questore di Pescara, famiglie rom stanno lasciando la zona o si stanno riparando dentro le abitazioni nel timore di possibili attacchi.

Per questa ragione, Amnesty International ha sollecitato le autorità italiane a prendere tutte le misure necessarie per proteggere le comunità rom da intimidazioni e attacchi, a condannare pubblicamente la violenza razzista e l'incitamento alla violenza razzista e all'odio razziale, ad avviare immediate e approfondite indagini su atti di intimidazione e di violenza di stampo razzista e a garantire che gli autori di tali azioni saranno sottoposti a procedimenti sulla base di leggi contemplanti pene commisurate alla gravità dei crimini commessi.

Dopo l'uccisione di Domenico Rigante, un tifoso della locale squadra di calcio di 24 anni, avvenuta il 1° maggio, della quale è sospettato un cittadino italiano di etnia rom, gruppi di tifosi e di amici della vittima hanno manifestato contro la presenza delle comunità rom a Pescara. Non sono stati commessi atti di violenza, ma nel corso delle proteste si sono levati in modo massiccio cori discriminatori e sono state minacciate azioni violente contro i rom.

Secondo quanto appreso da Amnesty International, nei giorni successivi persone non identificate si sono presentate nei luoghi generalmente frequentati dalla comunità rom, con l'intento apparente di minacciarli o di aggredirli. Un rom intervistato da Amnesty International ha riferito che donne rom sono state insultate, allontanate dai negozi e dagli ingressi delle scuole dove erano andate a prendere i loro figli. Nella notte tra il 7 e l'8 maggio, sono stati esplosi colpi in aria nel quartiere Rancitelli, dove vivono molti rom, all'apparente scopo di spaventare i residenti.
La mattina del 6 maggio, alla fine di un'iniziativa per ricordare Domenico Rigante, almeno un centinaio di manifestanti ha cercato di dirigersi verso Rancitelli. Queste persone sono state bloccate dal rapido intervento della polizia. La notte successiva, un gruppo di 40-50 persone col volto coperto da sciarpe e cappelli, è entrato in una sala bingo di Pescara e in un'altra di Montesilvano, con l'intenzione di aggredire i rom che spesso frequentano quei luoghi. Non vi è stato trovato alcun rom e nessuna persona ha subito violenza..... continua nell'articolo (http://www.amnesty.it/amnesty-international-chiede-alle-autorita-italiane-di-proteggere-i-rom-dalla-violenza) (Condiviso da FB)