sabato 14 gennaio 2012

ROSARNO UN ANNO DOPO

La vedo arrivare al seguito di un giornalista con un microfono in mano, è la stessa telecamera che un anno fa fece conoscere a tutta l'Italia la condizione dei raccoglitori di mandarini.
Ancora una volta torna implacabile ad osservarmi, sono l'oggetto che rende la trasmissione più vivace, perchè tutti si scontrano quando parlano di me e  nulla sfugge  alla mano dell'operatore che non voglia che si veda.

Oggi io mi vedo, sono con i miei compagni rannicchiato vicino ad un fuoco di fortuna, da sempre come un cane randagio, che mi preparo da mangiare i soliti spaghetti italiani con il sugo, il mio solo elemento di integrazione.
Ho gli occhi rossi per il freddo e la mancanza di sonno, li abbasso, non voglio che si veda la mia espressione di cane bastonato e rassegnato ad una condizione  senza via d'uscita...chissà se qualcuno comincerà a capire che la povertà non può essere strumentalizzata ulteriormente, mi sento braccato, vivisezionato, di me potete fare quello che volete, nella mia invisibilità appare la mia coperta come segnaposto di una tenda per tanti come me, rifugio per la notte dal freddo e dai malvagi, un bagno fatiscente e cumuli di immondizia che nessuno toglie e con cui convivo.
Mi stai inquadrando, riprendi sempre i miei occhi rossi, ne vedi il colore ma hai mai scrutato dentro per arrivare ai miei sogni?

Ogni volta che parli di me la tua coscienza, se ne hai una, si ribella alla vista di tanta solitudine, ma non puoi capire, sei solo un mezzo che fotografa delle immagini, sempre immagini, che hanno perso, dopo un anno, anche il significato e sai perchè...qui tutto è morto, io sono solo... in balia di un destino che mi è avverso... che ha deciso per me ,mandandomi in una terra straniera ,dove il mio colore suscita ancora  diffidenza e razzismo, sono solo... non appartengo a questa terra e non posso neanche chiedere.
Adesso lasciatemi in pace, qui ,dove sono, è terra di nessuno, lo stato non esiste, la legalità è morta, sono fortunato se qualcuno mi offre ancora la possibilità di andare a raccogliere i mandarini pagandomi un euro per ogni cassetta.
(Angela)

giovedì 12 gennaio 2012

LA GIUSTIZIA

 Appartengo a quella specie di persone che si sono fatte da sole, faticosamente, duramente , cercando di mantenere la testa a posto in modo da conservare quello spirito critico che ti fa vedere  quelle cose che altri non vedono, distratti come sono dal modo di dire usuale che va di moda o che fa comodo.
Anche nel  caso della giustizia ho preso le distanze da chi voleva insegnarmi che anche quella con il tempo cambia perchè processi storici dimostrano che deve essere adeguata alle circostanze...se in questo momento ci penso la identifico con una bilancia sempre in equilibrio...niente di eccezionale, mi direte, quasi scontato, ma scontato non è invece...quella bilancia da parecchio tempo comincia a pendere troppo da una sola parte...perchè chi ne ha preso possesso la usa per scopi personali eludendo i principi costituzionali di una persona.
Troppo spesso assistiamo,direi quotidianamente,ad episodi di eclatante ingiustizia nei confronti dei cittadini ad opera di persone che si fanno scudo del loro potere per fare passare un'idea della giustizia davvero preoccupante.
Un pò di tempo fa ebbi modo di leggere di un vescovo che addebitava alle donne,alla loro bellezza, la responsabilità degli stupri assolvendo davanti agli uomini e a Dio gli stupratori..anzi aggiungeva che questa colpa era più grave della pedofilia...
Non più tardi della settimana scorsa un politico di quelli che non sono passati mai inosservati affermava che la pedofilia era colpa dei bambini che si facevano toccare dai pedofili...ma non è finita se non fosse capitato di averlo vissuto di persona un episodio di scippo, dove la vittima diventava responsabile dell'aggressione perchè portava una  borsa firmata...
La vittima diventata responsabile del reato subìto...ha dell'incredibile, è lo sconvolgimento di tutta una giurisprudenza che non sta più in piedi...per giunta se ci si ribella facendo notare l'assurdità di certe affermazioni si è addirittura minacciati di denunzia...
Potrei continuare all'infinito con molti esempi che evidenziano questo aspetto della nuova giustizia degli uomini, ma preferisco fermarmi per offrire, a chi mi legge, la possibilità di rflettere su quello che ho detto, e di cominciare a pensare che il potere è diventato così arrogante, da ritenere di poter agire liberamente, dimenticando che "ESISTE "una comunità sociale della quale devono tenere conto nel rispetto dei diritti  di ciascun componente.
Angela

martedì 10 gennaio 2012

VERGOGNA

TIBET :un popolo dimenticato

Gentili signori sono oggi qui a nome di:

Ngawang Sangdrol, Gyalten Pelsang, Ngawang Kiyzom, Rinzen Kunsang, Ngawang Tsepak, Adhi, Ngawang Jampa, Gyaltsen Choedon, Nyima Tsamchoe, Sonam Dolkar, Lhakpa Chundak, Tashi Drolma, e di migliaia di
altre donne tibetane.

Vorrei rappresentare la voce, finalmente libera, di tante donne che non hanno più un nome, né un volto. Di tante donne private del proprio futuro. Vorrei essere oggi qui la loro voce, per raccontare la reale storia della crudele oppressione militare che le ha rese vittime tra le vittime, proprio in quanto donne, colpite in tutti gli aspetti dalla dura repressione politica e del genocidio in atto nel territorio tibetano. I pochi nomi che vi ho citato sono il simbolo di tutte le donne tibetane, sia laiche che monache, detenute e torturate semplicemente per aver espresso una opinione o per aver osato cantare l'indipendenza del Tibet, o ancora per non aver obbedito al comando di alzarsi in piedi impartito da qualche cinese.

Molte donne sono in stato di detenzione solo per aver indossato vesti tibetane, per aver rifiutato l'indottrinamento politico, o per aver manifestato fedeltà al Dalai Lama, molto spesso anche solo per aver cercato semplicemente di essere madri.

Le mani dei cinesi sulle donne tibetane sono pesanti, violente, fastidiosamente sadiche. L'arresto, specialmente delle monache, si traduce in stupri e violenze collettive, praticate spesso con micidiali bastoni elettrici e bruciature di ogni tipo. Le detenute vengono obbligate a spogliarsi davanti a tutti, picchiate, o assalite da cani feroci e così via in un crescendo di orribili perversioni che hanno, come unico scopo, quello di umiliare e distruggere sia la dignità che il senso di appartenenza ad un popolo, quello stesso popolo che per i cinesi non ha alcun diritto di esistere. Ma le donne tibetane resistono, non si piegano. Totalmente isolate, in quell'enorme carcere collettivo che è divenuto il Tibet, resistono, spesso eroicamente, incuranti delle conseguenze che ogni parola ed ogni gesto può avere sul loro già amaro destino. Anzi spesso sono proprio loro, quelle timide e pacifiche monache di 15, 16, 20 anni che a voi capita di veder gaiamente sorridere nelle vostre riviste, le leader che da anni guidano il movimento di resistenza non violenta praticata sia fuori che dentro le carceri. Esse sfidano i loro aguzzini in nome dei loro diritti, della libertà, li sfidano, proprio come farebbe un docile agnello di fronte ad un lupo affamato.

Ora vorrei il permesso di recitare un brevissimo canto che dice:

" Io sono in prigione ma non ho rimpianti
La mia terra non è stata venduta, è stata rubata
Per questo abbiamo pianto tante lacrime, oh, tante lacrime "

Sappiate che questo breve ed inoffensivo ritornello, circolato clandestinamente per qualche tempo nella famigerata prigione di Drapchi, è costato fino a 10 anni di pena aggiuntiva alle monache che l'avevano composto.

E' in questo modo che il Tibet sta combattendo la sua lotta per la libertà. Non con le bombe, gli attentati, le armi, ma con la fede, i canti, le bandiere fatte sventolare dalle colline prima dell'arresto e soprattutto in nome della grande devozione al suo Leader, il Dalai Lama, Premio Nobel per la Pace. La Cina, che alcuni decenni fa dichiarò al mondo la liberazione di un Tibet feudale, dall'oppressione di imperialisti stranieri, ora non ha più scuse per le sue menzogne. Vi chiedo: gli schiavi liberati che motivo avrebbero di ribellarsi a chi gli avesse davvero offerto benessere e libertà?

Le donne Tibetane vivono rinchiuse nelle prigioni senza sapere se ne usciranno mai, cercano di sopravvivere gloriosamente restando per lunghi periodi segregate in luridi buchi, senza acqua né luce e con pochissimo cibo, spesso avariato. Non hanno nulla per potersi scaldare e vanno avanti così, per lunghi periodi di isolamento, in celle completamente buie, vengono seviziate e picchiate senza pietà anche fino a morirne, costrette a rispondere ai loro carcerieri quando le insultano chiamandole con nomi come asino, maiale, cane… ed è così che vivono la loro prigionia: sole, nude ed indifese di fronte ai loro torturatori.

Le donne tibetane sono private del diritto di essere madri, vengono sterilizzate a loro insaputa oppure con la forza, spesso sono costrette ad abortire e a subire trattamenti peggiori di quelli riservati alle bestie, senza anestesia , con l'utilizzo di bastoni elettrici, non importa se il feto è un bambino già completamente formato. Inoltre, se nonostante l'iniezione letale il bambino fuoriesce vivo, viene soppresso subito dopo, e spesso mentre la madre ascolta il suo primo innocente vagito. Dopo un po' le comunicano che è morto.

L'aborto e la sterilizzazione forzata sono problemi veramente seri sia per la gravità che per la frequenza. Solo nel vicino 1997 si è avuta notizia di ben 883 casi di questo tipo subiti dalle donne tibetane; in alcuni di questi casi le donne hanno partorito bambini già morti e in altri le tibetane sottoposte a sterilizzazione sono decedute. Le rigide misure di controllo delle nascite sono applicate in diverse zone del Tibet a tutte le donne in età compresa tra i 16 e i 45 anni. Il destino di una mamma in Tibet è completamente nelle mani del Governo centrale e di quello regionale. Quello centrale decide il tasso annuo consentito di crescita globale, quello regionale le nascite ammesse localmente e le donne che possono averne diritto.

Spesso il destino è legato ad una lotteria. Una coppia che vuole un bambino, sempre ammesso che sia stato loro accordato il diritto di contrarre matrimonio, deve tentare la sorte affidandosi ad un sorteggio comunale. Se è fortunata potrà avere il figlio. Se va male dovrà perdere anche quello che eventualmente porta in grembo e poi attendere altri tre anni per avere un'altra occasione.

Ecco come vivono ora le donne "liberate dalla schiavitù" grazie ai Cinesi. Sotto la dominazione cinese, quelle che prima potevano essere considerate come le donne più emancipate dell'Asia, si trovano al livello più infimo della scala sociale. Di fatto, non hanno accesso all'istruzione, né a cure mediche o a qualsiasi tipo di attività professionale.

Ora si che possono considerarsi davvero schiave tra gli schiavi… e gli schiavisti sono proprio quelli che ebbero il coraggio di dire al mondo di averci liberati. Ma chi ci libererà ora da questa vera schiavitù? Chi avrà il coraggio ora di affrontare questa tanto potente quanto dispotica Cina? Quale sarà il nostro destino? Dovremo estinguerci silenziosamente? Lasciare che il genocidio si compia restando a guardare in religioso silenzio? Abbiamo però il dovere di dire che la Cina ha di fatto offerto un nuovo sbocco professionale alle donne tibetane. Ad alcune per esempio, viene fatto credere di essere state assunte nell'Esercito popolare di liberazione, queste si illudono di entrare magari come impiegate o segretarie ma scoprono ben presto di essere solo prostitute di stato il cui unico compito è far divertire i militari pervertiti.

Una di queste, Lhakpa Chungdak, ha raccontato la sua storia. Assunta nel P.L.A. ancora 14enne non riuscì a credere alle proprie orecchie. Ingenua e piena di gioia iniziò il suo lavoro che presto diventò il peggiore degli incubi: stupri, prima singoli, poi di gruppo, gravidanze indesiderate e poi aborti, tanti. E i Cinesi oltretutto la minacciavano dicendole di non lamentarsi. Questo è l'impiego che l'esercito cinese offre ad una ragazza Tibetana. Ngawang Sangdrol, Gyalten Pelsang, Ngawang Kiyzom, Rinzen Kunsang, Ngawang Tsepak, Adhi, Ngawang Jampa, Gyaltsen Choedon, Nyima Tsamchoe, Sonam Dolkar, Lhakpa Chundak, Tashi Drolma, ho portato la vostra voce al di là del Himalaya perché arrivi alle orecchie di tutti gli esseri umani che credono nell'uomo e nell'umanità.

Aiutateci! L'unica cosa che vi chiediamo è aiutare un popolo innocente ignobilmente calpestato nella propria dignità. Potete contribuire semplicemente diffondendo la verità, portandola ad amici e parenti.

Aiutateci a far conoscere a tutti la vera, dolorosa storia, vissuta dal popolo tibetano. Una realtà che ora ha anche un nome: la causa tibetana...Noi crediamo nell'umanità e pensiamo che nessuno può tacere o far finta di niente di fronte ad ingiustizie così evidenti, ogni tibetano attende pazientemente e rispettosamente anche il vostro aiuto!

Aiutare un popolo a sopravvivere è un dovere di tutti, perché vivere è un diritto di tutti!

Grazie per aver ascoltato le mie parole"

Tashi Delek