martedì 28 dicembre 2010

La nuova strategia della tensionepubblicata da Ferdinando Imposimato il giorno sabato 19 dicembre 2009 alle ore 11.44

... la copertura di altri obiettivi e di altre forze interessate a destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare altri poteri ...di Ferdinando Imposimato [19/12/2009]

Forse siamo in presenza di una nuova strategia della tensione, simile a quella che ha flagellato l'Italia degli anni 60-80. E degli ani 90, con le stragi di Capaci e di Via D'Amelio. Ne sono un sinistro segnale i recenti attentati del Nord Italia. Credo che abbiano una stessa matrice i pacchi bomba esplosi martedì pomeriggio al Cie di Gradisca e giovedì all’Università Bocconi di Milano. A rivendicare i due attentati, è stata una improbabile Federazione anarchica informale, un gruppo anarco-insurrezionalista che negli ultimi anni avrebbe rivendicato atti terroristici compiuti in varie località italiane. Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre un volantino firmato da "Sorelle in armi, Nucleo Mauricio Morales-Fai", inviato al quotidiano Libero, rivendicava l’attentato alla Bocconi e a Gradisca. Nel volantino si parlava di contrasto al capitalismo, di moderne galere e campi di concentramento dove relegare gli ultimi della società, e l'inizio di una attività contro i ricchi e il potere politico. Alla Bocconi l’ordigno, un cilindro metallico di circa 25 centimetri con innesco elettrico, è scoppiato alle 3.30 di notte in un tunnel che collega due edifici dell’università. Dopo la rivendicazione gli inquirenti hanno capito di esser di fronte ad un attentato. Il danno è stato minimo perché il tubo è esploso solo in parte per il cattivo funzionamento del timer dovuto, secondo i primi accertamenti, all’imperizia con la quale il detonatore elettrico è stato fabbricato. Quanto all’esplosivo, nella rivendicazione si parla esplicitamente di "due chili di dinamite", ma i primi esami della scientifica non dicono con certezza di che composto si tratti. La matrice anarchica è stata seguita dagli investigatori che indagano sulla busta esplosiva recapitata al Cie di Gradisca. Nel portafoglio da donna, imbottito di polvere pirica, c’era un volantino di rivendicazione firmato dal gruppo anarchico.
Ed ora riflettiamo su ciò che accade: “Guardare al passato per capire il presente e prevedere il futuro”, dice Tucidide. Il passato può ripetersi. Negli attentati odierni, vedo non gesti isolati e velleitari ma una strategia concreta e realistica, che ripropone una stagione di violenza, simile a quella che seguì gli attentati alla fiera di Milano della primavera 1969, culminati con la strage di piazza Fontana. Mi sembra di tornare indietro a 40 anni fa, al 12 dicembre del 1969 quando, giudice istruttore a Milano, seppi della esplosione delle prime bombe tra cui quella di piazza Fontana, cui fu data una matrice anarchica. Ero al Tribunale di Milano dal 1965 . Anche io fui indotto in errore dalle false notizie propalate da tutta la stampa, compresa quella di sinistra, che accreditarono la pista rossa. Verso la matrice anarchica fu depistato anche il mio amico Vittorio Occorsio, Pubblico Ministero, incaricato della inchiesta su quella strage. La indagine gli era stata affidata dopo una manovra giudiziaria del Procuratore generale di Roma, che sottrasse ai giudici di Milano la inchiesta. Dopo alcuni anni, Occorsio, con cui avevo cominciato a indagare sui rapporti tra criminalità e politica, comprese che era stato ingannato dall'Ufficio Affari Riservati del Viminale: la matrice era massonico-fascista. Quando stava per risalire ai mandanti occulti, fu assassinato da alcuni fascisti tra cui Pierluigi Concutelli: era l'11 luglio 1976, pochi minuti dopo aver parlato con me per dirmi che aveva dato parere contrario ad un uomo che poi si seppe essere della P2.
I colpevoli della strage restarono ignoti. Ma molti ufficiali dei servizi segreti (SID) furono condannati per i depistaggi sulla strage: tra gli altri fu condannato per calunnia il generale Giandelio Maletti, uno dei vertici del SID. Che la settimana scorsa ha ammesso, in una intervista all'Espresso, che la bomba di Piazza Fontana era stata confezionata con esplosivo straniero: parte dell'esplosivo della strage era arrivato da un deposito militare americano in Germania. “Era entrato in Italia dal Brennero, a bordo di uno o più Tir. Fu scaricato a Padova, dove venne affidato agli ordinovisti locali”. L'esplosivo era, secondo Maletti “trinitrotoluene. Ovvero, tritolo”. Era una notizia attribuita dal Sid alla "Fonte Turco", cioè tal Casalini, un militante del gruppo di Freda e Ventura che aveva partecipato agli attentati sui treni dell'8 e 9 agosto '69. “Gli americani fornivano mezzi ed esplosivo,- ha detto Maletti- ma il lavoro lo lasciavano fare agli indigeni. C'era un laissez-faire, un indirizzo generale, poi messo in pratica da gruppi italiani o internazionali. Se ne occupavano i servizi segreti, ma non solo la Cia”. Eppure per anni si seguì la pista rossa. E i responsabili restarono impuniti. Oggi si ripropone uno scenario simile: ma non vogliamo attendere 40 anni per sapere la verità. La formazione anarchica informale (FAI) costituisce verosimilmente la copertura di altri obiettivi e di altre forze interessate a destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare altri poteri .
Certo è che colpisce la coincidenza degli attentati con l'ennesimo attacco alla Costituzione, baluardo della democrazia. Si vuole una Repubblica presidenziale , come quella auspicata da Licio Gelli. Si vuole distruggere la Corte Costituzionale, colpevole di avere bocciato il lodo Alfano. Essa è accusata di essere formata da giudici comunisti scelti da Presidenti filocomunisti. Non mi risulta che Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi fossero comunisti. La Costituzione, approvata da popolari, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali e monarchici, non va cambiata in nessuna parte. Non eravamo e non siamo d'accordo con chi, non avendola mai letta, auspica riforme come il premierato e il federalismo. Qualunque dialogo con il centro destra sarebbe assurdo. Stupisce che non lo abbia compreso il segretario del PD, che insiste nel volere riforme condivise (Corsera 11.12.2009).
La maggioranza non vuole riformare la Costituzione, vuole farla a pezzi, è un ostacolo a precisi disegni egemonici. E' un momento buio per la democrazia: il solo argine a mire eversive è la nostra Costituzione: il testamento spirituale di 100.000 morti. Il progetto plebiscitario non è utopistico: la maggioranza degli italiani, annichilita dalle TV di regime, lo sosterrebbe. Per il Paese sarebbe la rovina. Noi ribadiamo un fermo no al federalismo, al premierato, al plebiscitarismo alla delegittimazione della Consulta. Deploriamo l’eccesso dei poteri al Presidente del Consiglio. E rammentiamo che la Corte Costituzionale, con l’aumento dei giudici designati dal Parlamento federale, diventerebbe organo della maggioranza e perderebbe il ruolo di giudice indipendente delle leggi. La Corte deve restare l’estrema barriera contro il tentativo di attentare all’essenza della democrazia.
Ferdinando Imposimato

Gruppo per il ripristino della Costituzione del 1948
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domenica 26 dicembre 2010

Frantumazione degli interessi



                            Fonte: Il Pensiero Attuazionista

Quello che mi preme sottolineare, in questo ragionamento, è il ruolo che ha avuto la sinistra nell’affossare definitivamente la centralità del conflitto tra capitale e lavoro e, specificamente, i partiti comunisti che si sono succeduti dopo lo scioglimento del PCI, e allo stesso tempo, oggi, voler riaffermare questa centralità come se nel frattempo non fosse avvenuto nulla.
La prima incapacità risiede nell’aver accettato di delegare a un potere terzo il comando politico sull’economia e di non aver messo al centro la questione nazionale come interesse generale dei lavoratori contro ogni forma di disgregazione sociale e territoriale.
Comando politico dell’economia significa avere la possibilità per uno stato di prendere decisioni in merito allo stato sociale, ovvero difendere la propria forma economica da ingerenze esterne, che in soldoni significa non permettere, ad esempio alla Fiat, di ricattare i lavoratori e di fare gli interessi di uno potenza economica imperialista come gli USA.
Ma significa pure non assumere come una calamità naturale la crisi economica e meno che mai la crisi economica come crisi del capitalismo, ma di fornire ai lavoratori una lettura onesta e veritiera, ovvero che la crisi economica è uno specifico progetto politico per il riassetto dello stato sociale sul modello culturale e politico della potenza di turno, che si forma a livello di lotta politica tra stati e che ha ricadute e ripercussioni nazionali.
Quando si dice che l’economia, ovvero i poteri finanziari, la fanno da padroni sulla politica si dice una cosa giusta, ma non spiegandola si finisce per affermare una cosa sbagliata.
Nel nostro paese, ad esempio, il potere politico accetta determinate scelte politiche esterne che possono anche non coincidere con gli interessi dei lavoratori, tali scelte politiche determinano a loro volta scelte economiche. Allora, sono le scelte politiche ad avere ricadute economiche e non viceversa. Per determinare una data scelta economica bisogna avere una certa indipendenza politica, cosa che noi non abbiamo in quanto soggetti a poteri e forze straniere.
Come possiamo pensare di arginare lo smantellamento dello stato sociale, i continui e sempre più pervasivi attacchi contro i lavoratori, la scuola, l’università, la sanità, in una parola lo stato sociale, se non recuperiamo il ruolo politico determinante per le nostre scelte interne?
Sono anni che ci vengono raccontate le crisi delle forme del lavoro, dell’organizzazione dell’impresa, delle politiche economiche di adeguamento all’Unione Europea come fossero tutte forme normali del processo di globalizzazione. Vogliamo sostituire una volta per tutte la parola globalizzazione con capitalismo imperialista?
Il lavoro ha assunto sempre più forme e caratteri nuovi negli attuali processi di ristrutturazione, e ne assumerà sempre di nuovi e pervasivi, perché il comando sul processo e sul ciclo produttivo ha assunto anch’esso forme nuove. Allora bisogna convincerci che la crisi politico-statale si riversa inevitabilmente nella crisi economico-sociale e nella sua composizione sociale.
I vari fenomeni di aggregazioni transitorie, sporadiche e di fortuna per resistere agli attacchi non solo non sono contrastati ma addirittura favoriti. Più si frantumano gli interessi e più si formano due specifiche classi sociali: la classe per sé e la classe lasciata a se stessa. Entrambe a loro volta frantumate e dislocate socialmente e territorialmente. Si assumono forme locali territoriali di difesa come di aggregazioni sociali sempre più particolari. Ad un attacco a livello globale si cerca di rispondere a livello locale. In tutto questo la sinistra e i comunisti non hanno saputo rispondere se non con uno schema teorico che fa acqua da tutte le parti.
Se una forza di sinistra e comunista vuole veramente essere efficace, in questa fase storica, deve comprendere che una forza anticapitalista e antimperialista deve fare i conti con quello che c’è e non con quello che si vorrebbe che ci fosse. Al momento abbiamo la politicizzazione del mercato e la mercificazione dello stato.
In questo momento ci troviamo di fronte all’assenza del soggetto politico capace di incidere in maniera costruttiva sull’ordine presente delle cose e anche per questo i sindacati di base si trovano in condizioni di grave difficoltà. Difficoltà che sono tutte riconducibili a una mancanza di prospettiva politica.
Gli industriali hanno già preso accordi con il governo per trasferire all’estero tutta la loro produzione e stanno aspettando solo il momento propizio per realizzare l’operazione. E’ per questo che il disegno sociale, che si è già realizzato, sta assumendo la sua definitiva messa a punto che passa inevitabilmente per la riforma della scuola, dell’università e della pubblica amministrazione.
Ma su questo punto dobbiamo essere chiari. La chiusura delle fabbriche, il licenziamento dei lavoratori e il trasferimento all’estero delle fabbriche è avvenuto grazie alla complicità dei partiti di sinistra e dei sindacati di regime. E come hanno convinto gli operai a subire una tale mortificazione dei loro diritti e un simile ricatto? Con la parola magica della “crisi economica” ripetuta dalla sinistra e dai comunisti come fosse un concetto neutrale e non avesse invece una matrice politica, culturale e sociale ben definita.
Al ricatto di Marchionne, tutto nell’interesse degli USA, che vuole portare le medesime condizioni schiavistiche in Italia, vogliamo continuare a rispondere con le manifestazioni organizzate dalla CGIL? Oppure con la teoria del conflitto tra proletari e borghesi?
Affrontare il problema in maniera seria significa pensare ad un progetto politico capace di ridisegnare i confini entro cui la classe per sé possa finalmente incontrare la classe lasciata a se stessa.
Per questo è urgente disegnare il percorso politico che porti ad un Primo Maggio all’insegna della dignità contro ogni forma di pagliacciata. (Roberto Scorzoni)

lunedì 20 dicembre 2010

I 5 miliardi per fermare l'immigrazione

Intervistiamo lo scrittore e giornalista Gabriele Del Grande, autore di Mamadou Va a Morire e Il Mare di Mezzo

di Luigi Riccio

INTERVISTA. “Chiediamo all’Europa 5 miliardi per fermare l’immigrazione” ha ripetuto il leader libico Gheddafi all’ultimo vertice Unione europea-Unione africana. Lo scenario futuro che il dittatore disegna è sempre lo stesso: un’Europa nera, sommersa da migliaia e migliaia di disgraziati. A parlare sembra più un Borghezio della Lega Nord che un leader africano. Ma tant’è. Se l’Europa vuole fermare “l’invasione”, deve sganciare i soldi.
Ma visto poi che questi soldi non sono neanche pochi, viene da chiedersi quanto questo "aiuto" possa essere utile. Per questo, abbiamo chiesto allo scrittore e giornalista Gabriele Del Grande, uno che in questi ultimi anni ha studiato sul campo i flussi migratori provenienti dal nord Africa e autore del libro Il Mare di Mezzo (qui recensito).
Gheddafi ha rinnovato la sua “disponibilità” a fermare l’immigrazione clandestina in Europa, previo pagamento di 5 miliardi. Quale potrebbe essere l’impatto reale del suo contributo?
E' tutta una farsa. La sua e quella dell'Europa. Quella che chiamano immigrazione clandestina non esiste. E se esiste non passa dalla Libia. Cosa voglio dire? Ad esempio che Maroni ha appena firmato un decreto per l'ingresso di 100.000 lavoratori stranieri in Italia per il 2011, ovvero 100 volte il numero dei mille respinti in Libia dalla marina italiana tra il 2009 e il 2010. Un decreto farsa, nel senso che come tutti sanno i 100.000 sono già in Italia, dove sono arrivati con un visto turistico, in buona parte dall'Europa orientale, che poi è scaduto gettandoli nella clandestinità. Loro emergeranno e avranno i documenti. I meno fortunati, che in proporzione rappresentano l'1% degli arrivi, saranno invece arrestati e torturati nelle carceri libiche finanziate dall'Europa e dall'Italia. Gheddafi fa leva sulle paure dell'Europa. E l'Europa ha definitivamente perso il contatto con la realtà. Il problema non sono gli sbarchi nel Mediterraneo. Anche perché la repressione lungo la frontiera non ferma gli arrivi, ma ha solo due effetti: cambiare le rotte e aumentare il potere delle mafie dei contrabbandieri che gestiscono le tratte proibite.
Dai fatti di cronaca dei 250 ostaggi nel deserto del Sinai emerge ( o si conferma) che le direzioni dei flussi non sono statiche, ma possono cambiare, per esempio, quando vecchi canali non sono più percorribili. Dopo gli accordi Italia-Libia, quale cambiamento hanno avuto le rotte dei migranti?
Le rotte principali non sono cambiate. Si arriva in autobus e in aereo, dall'Europa orientale, dal Sud America e dal Maghreb, poi si lascia scadere il visto e si aspetta la sanatoria o il decreto flussi. Sono cambiate invece le rotte del mare, che riguardano una minima parte delle persone emigrate in Italia, fra l'altro in gran parte rifugiati politici, verso i quali l'Italia ha un obbligo di protezione internazionale. Queste persone hanno iniziato a raggiungere l'Europa attraverso la porta orientale, in particolare attraverso la Turchia e l'Ucraina. E in parte, soprattutto per gli eritrei, verso lo Stato di Israele, attraverso l'Egitto. Frontex lo sa bene, motivo per cui ha aumentato la repressione e il controllo sui confini dell'Europa con Turchia e Ucraina.
Frontex, l’agenzia per le frontiere europee, è stata poco fa in Senegal, in Grecia e altri paesi da cui maggiormente proviene l’immigrazione clandestina. L’impressione che fa, è che stiano cercando di tappare tutte le “falle” per rendere l’Europa inaccessibile. Sei d’accordo con questa visione? E quali conseguenze può avere o sta avendo questo tipo di politiche?
L'obiettivo non è tanto sigillare la frontiera, quanto piuttosto usare la frontiera per filtrare e controllare chi passa. L'Europa non riconosce il diritto alla libertà di circolazione, che pure vale per i suoi cittadini in quasi tutto il mondo, e decide di trattare gli stranieri come merci. Ogni anno, unicamente sulla base di stime economiche, i governi decidono quante braccia da lavoro importare dai paesi esteri per mantenere a basso costo le produzioni di certi settori come l'edilizia, l'agricoltura, l'assistenza domestica. E fa di tutto per bloccare tutti gli altri indesiderati, siano poveri o rifugiati. E fa di tutto per espellere dal suo territorio tutti i cittadini stranieri poveri, marginali e improduttivi. La logica è chiara. Perdi il contratto di lavoro, ti ritiro il permesso di soggiorno. Le conseguenze di queste pratiche sono gravissime, perché stanno istituzionalizzando la cultura dell'espulsione. La cultura cioè per la quale se sei povero, marginale, improduttivo, problematico, anziché aiutarti, la società ti espelle. Oggi si applica ai cittadini stranieri, la cui marginalità è causata proprio dalle nostre leggi che vietano loro di lavorare, di affittare casa, di esistere. Domani a chi si applicherà? Ai disabili? Ai malati mentali? Ai disoccupati? Ai precari? Sono questioni che riguardano tutti, perché riguardano lo stato di diritto.

sabato 18 dicembre 2010

Gay e marito. Quando l'omosessualità è una colpa

DAKAR. Incontro Ousmane in uno dei tanti fast food del centro. Non è stato facile riuscire a farlo venire. Ousmane è gay, ed essere gay in Senegal vuol dire portarsi dietro il peso di una colpa. L'omosessualità resta un argomento tabù di cui non si può nemmeno parlare. Ousmane si guarda attorno e quasi sussurra le parole, come se la sua omosessualità fosse incisa come un marchio sul suo volto. E' un ragazzo davvero bello, trant'anni e una laurea in storia.

'Ho sempre saputo di essere gay. Fin da piccolo cercavo la compagnia dei maschi, ero attratto da loro, dalla loro fisicità, dal loro modo di fare. Le ragazze non mi interessavano' mi dice prima di abbassare gli occhi e sospirare. 'Qui è difficile. Non è possibile dichiararsi e vivere la propria vita in pace. E allora ho mentito e mento da una vita'. Le parole di Ousmane non mi sono nuove, questa è la quotidianità omosessuale di un paese, il Senegal, fortemente omofobo. 'Qui se sanno che sei gay ti lanciano le pietre, ti insultano, ti allontanano dalla famiglia. Le persone pensano che sia una malattia o, peggio ancora, che sia il risultato di uno dei tanti 'maraboutage' (sortilegi) fatti contro la famiglia' continua Ousmane.

'Com'è vivere una doppia vita?' gli chiedo. Sospira, poi riprende 'E' difficile. Sette anni fa sono riuscito a partire per l'Italia. E' stata una liberazione. Sono arrivato a Brescia, a casa di un amico e per la prima volta nelle vita, mi sono sentito libero. Ho avuto una bellissima storia d'amore con un uomo italiano, sposato, per circa due anni'. 'E poi?' incalzo io. 'Poi la moglie ha scoperto tutto, colpa dei messaggi nel cellulare, le è venuta una crisi, ha minacciato di rendere pubblica la cosa e lui, stimato uomo d'affari, non poteva permetterselo. Ha preferito lasciare me. Dopo di lui solo tante piccole avventure'. 'Come mai sei tornato?' continuo 'Non riuscivo a trovare lavoro e i senegalesi cominciavano a parlare. Telefonavano alla mia famiglia dicendo che io andavo a letto con uomini italiani. Ho deciso di tornare e per il bene di mia madre mi sono sposato'.

Ousmane parla a tratti, lo sguardo sempre attento ogni volta che la porta si apre, poi continua 'E' stato difficile. E' difficile vivere l'intimità con mia moglie. Lei pensa sia colpa sua e piange, mi chiede se ho altre donne. Come faccio a dirle che non ho altre donne ma frequento un uomo?'.

'Sei fidanzato?' gli chiedo subito io. 'Diciamo. Da qualche tempo frequento Saly, un angolo europeo in mezzo al Senegal. E' lì che ho conosciuto Richard, un uomo francese di 50 anni. Viviamo una storia nella clandestinità, io, per facciata, faccio finta di essere il guardiano di casa e tutti ci credono'.

'Esiste un mondo omosessuale nascosto, qui a Dakar?' chiedo provocatoriamente. Ousmane risponde senza esitare, 'Sì, eccome. E' un mondo sotterraneo che parte dalle famiglie e arriva fino alla società tutta. Molti sono i locali in cui i gay si ritrovano, in generale sono le discoteche frequentate dagli 'gnak' (termine wolof per designare gli africani anglofoni o, in generale, provenienti dall'Africa centrale). Gli gnak sono più liberi, tanti sono dichiaratamente bisessuali e vivono la loro sessualità con meno paura. A loro non gliene frega niente di essere visti'.

'Come vedi il futuro?' gli domando. 'Non lo immagino. Per ora vivo il presente e la mia storia d'amore' tentenna per un momento Ousmane poi riprende 'veramente un sogno ce l'ho. Spero che Richard mi porti con lui in Francia. Oggi sarei pronto a scappare e lasciare tutto. Mentire alla mia famiglia mi logora. Ho paura. Ogni singolo giorno ho paura di essere scoperto e di essere linciato. Per i gay qui, l'unica soluzione è trovare un fidanzato europeo che possa aiutarli ad emigrare. Ecco perché la maggior parte degli omosessuali senegalesi frequentano gli alberghi di lusso'.

Stò zitta e penso. Che tristezza. 'Laggiù' come dicono e pensano in tanti, troppi qui, sembra essere la sola soluzione e questa soluzione passa attraverso chi in Senegal arriva dall'Europa, ponte suo malgrado verso una nuova vita. Peccato poi che in gioco ci siano i sentimenti delle persone. Quelli no, non sono finzione, sono relai. E se per una volta si partisse dalla radice del problema? Se per una volta si cominciasse dall'educazione nelle famiglie? Se si partisse dalla scuola? Se si arrivasse a far capire alle persone che l'omosessualità non è una malattia? Sorseggio anch'io il mio succo. Italia, Senegal, in fondo la situazione non è poi tanto diversa. da Corriere Immigrazione

martedì 14 dicembre 2010

I vestiti nuovi dell'imperatore


Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente. Non si curava dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Possedeva un vestito per ogni ora del giorno e come di solito si dice che un re è al consiglio, così di lui si diceva sempre: «E nello spogliatoio!».
Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto; ogni giorno giungevano molti stranieri e una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi.
"Sono proprio dei bei vestiti!" pensò l'imperatore. "Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti. Sì, questa stoffa dev'essere immediatamente tessuta per me!" e diede ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare.
Questi montarono due telai e fecero fìnta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Senza scrupoli chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda.
"Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa" pensò l'imperatore, ma in verità si sentiva un po' agitato al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa. Naturalmente non temeva per se stesso; tuttavia preferì mandare prima un altro a vedere come le cose proseguivano. Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino.
"Manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori" pensò l'imperatore "lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui nel fare il suo lavoro."
Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti. "Dio mi protegga!" pensò, e spalancò gli occhi "non riesco a vedere niente!" Ma non lo disse.
Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno non erano belli. Intanto indicavano i telai vuoti e il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non potè dir nulla, perché non c'era nulla. "Signore!" pensò "forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai. Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa!"
«Ebbene, lei non dice nulla!» esclamò uno dei tessitori.
«È splendida! Bellissima!» disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. «Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!»
«Ne siamo molto felici!» dissero i due tessitori, e cominciarono a nominare i vari colori e lo splendido disegno. Il vecchio ministro ascoltò attentamente per poter dire lo stesso una volta tornato dall'imperatore, e così infatti fece.
Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere. Ma si misero tutto in tasca; sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti.
L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori, e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto. A lui successe quello che era capitato al ministro; guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla.
«Non è una bella stoffa?» chiesero i due truffatori, spiegando e mostrando il bel disegno che non c'era affatto.
"Stupido non sono" pensò il funzionario "è dunque la carica che ho che non è adatta a me? Mi sembra strano! Comunque nessuno deve accorgersene!" e così lodò la stoffa che non vedeva e li rassicurò sulla gioia che i colori e il magnifico disegno gli procuravano. «Sì, è proprio magnifica» riferì poi all'imperatore.
Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa.
L'imperatore volle vederla personalmente mentre ancora era sul telaio. Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo.
«Non è magnifique?» esclamarono i due bravi funzionari. «Sua Maestà guardi che disegno, che colori!» e indicarono il telaio vuoto, pensando che gli altri potessero vedere la stoffa.
"Come sarebbe!" pensò l'imperatore. "Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare". «Oh, è bellissima!» esclamò «ha la mia piena approvazione!» e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva niente. Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì nulla di più; tutti dissero ugualmente all'imperatore: «È bellissima» e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. «E magnifìque , bellissima, excellente » esclamarono l'uno con l'altro, e si rallegrarono molto delle loro parole. L'imperatore consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere da appendere all'occhiello, e il titolo di Nobili Tessitori.
Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese. Così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore. Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: «Ora il vestito è pronto.»
Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: «Questi sono i calzoni; e poi la giacca - e infine il mantello!» e così via. «La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!».
«Sì» confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla.
«Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?» dissero i truffatori «così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio.» L'imperatore si svestì e i truffatori fìnsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito, che stavano terminando di cucire; lo presero per la vita come se gli dovessero legare qualcosa ben stretto, era lo strascico, e l'imperatore si rigirava davanti allo specchio.
«Come le sta bene! come le dona!» dissero tutti. «Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!»
«Qui fuori sono arrivati i portatori del baldacchino che dovrà essere tenuto sopra Sua Maestà durante il corteo!» annunciò il Gran Maestro del Cerimoniale.
«Sì, anch'io sono pronto» rispose l'imperatore. «Mi sta proprio bene, vero?» E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio, come se contemplasse la sua tenuta.
I ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente.
E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: «Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!». Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo.
«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino. «Signore sentite la voce dell'innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto.
«Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso!»
«Non ha proprio niente addosso!» gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: "Ormai devo restare fino alla fine". E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era.

POTENZA DELLE FIABE DICONO LA VERITA' FINO IN FONDO...OGGI QUEL RE ERA NUDO
IN TUTTA LA SUA ARROGANZA CON UNA CORTE CHE SI E' VENDUTA

giovedì 9 dicembre 2010

La mia sfiducia per il 14 dicembre

Oggi è molto facile diventare populisti…basta cavalcare l’onda del malcontento diffuso per ritrovarti a capo di un movimento che rivendica un qualche diritto. E se non diventi populista ti fanno diventare capo di un nuovo partito come se non ce ne fossero abbastanza con tutti i loro pregi e difetti…ma qual è il problema…?
Oggi non si può parlare, non si può criticare, non si può esprimere un dissenso o peggio non si può protestare, non ci si può lamentare, perché di fronte ti ritrovi un’altra persona che parla più di te, che critica più di te, che esprime il dissenso più di te, che si lamenta più di te.
E’ diventato davvero difficile campare, non dico vivere che è un’altra cosa, dico campare per sopravvivere a questa confusione che ci fa ondeggiare da una parte all’altra senza una direzione precisa, senza il progetto di una meta precisa…campiamo alla giornata..ma sì che importa quello che accadrà domani, ora siamo qui e godiamo.
Ma godiamo di cosa…di ciò che non abbiamo, il godere è solo un piacere passeggero non è felicità, non è quell’appagamento che ti fa sentire pieno dentro quasi smarrito in un vortice di benessere.
E di chi la colpa se non possiamo beneficiare di tanto ????
Allora andiamo a monte a verificare perché è accaduto tutto questo, come siamo arrivati a perdere il senso delle cose, chi ci ha fatto smarrire una strada che pur abbiamo sempre saputo essere quella giusta soprattutto se eravamo nell’ottica della giustizia , nell’attuazione di uno stato di diritto, nella costruzione di una società plurale dove tutti dovevamo riconoscerci ed essere riconosciuti.
Abbiamo prima cominciato a patteggiare il diritto di esserci senza sapere che il posto c’era per tutti e abbiamo perso perchè ci hanno relegato in un angolo ad assistere ad un banchetto al quale non eravamo più invitati, riservato solo a coloro che avevano invece sempre annuìto senza porsi tanti perché.
Alla fin fine l’estromissione sociale è divenuto un fatto compiuto…possiamo anche scendere in piazza, sembra che non aggiungiamo valore ad una situazione già consolidata, decisa apriori senza il nostro consenso..noi cittadini di un paese che non ci appartiene in cui non possiamo più decidere del nostro futuro né di quello dei nostri figli.
Non chiedo neanche più alle ideologie di venirmi in aiuto, non sanno dare una risposta perché anche loro sono state asservite dal potere di chi pensava di poter decidere unilateralmente senza la partecipazione attiva dei cittadini.
Cosa ci resta…la coscienza di essere persone, di saper vedere dentro di noi, prendere in mano tutta la situazione e non trovare più alcuna giustificazione per quelli che mentono, per quelli che rubano, per quelli che dilapidano una economia che va solo in una direzione. Dobbiamo ritrovare il buonsenso di dire basta…chi non è in grado di governare vada a casa senza se e senza ma…non si può continuare a voler guardare dietro l’angolo senza averlo prima attraversato.
Questa è la mia sfiducia come cittadina di questo paese che va a rotoli.

Angela

domenica 5 dicembre 2010

L'onestà


Ero davvero molto piccola quando ho conosciuto questa parola…la ripeteva sempre mia madre e le dava un significato che mi è rimasto dentro per sempre. Lei amava dire: -Vedi tuo padre è un uomo onesto, per questo non abbiamo niente!-
Dentro di me pensavo che doveva essere qualcosa di molto importante se, il non avere niente di mio padre, rendeva mia madre così orgogliosa di lui. E allora anch’io cominciai a pensare nello stesso modo…non hai niente però sei onesto, una grande qualità…ma quanta sofferenza e angoscia comportava per me e i miei fratelli ..la sua onestà interfacciata con la nostra rinuncia a tutto quello che gli altri bambini avevano…Mi rincuoravo pensando che tutto sommato gli altri non avevano l’onestà e che, quindi ,erano disonesti.

Dovevo arrivare ad essere più grande per raddrizzare il tiro, quando fu proprio mio padre che mi deluse, mettendomi di fronte ad una situazione di povertà dovuta più non all’onestà ma alla mancanza di lavoro subìta per circostanze che non vi sto a raccontare, ma che servirono a dare un’altra visione dell’onestà…quella verso se stessi e le persone che ci sono accanto, una responsabilità che si assume nel momento stesso in cui nasci e che cammina di pari passo con la coerenza.

E’ arrivato il momento in cui ho cominciato a camminare da sola ed ancora le stesse raccomandazioni da parte di mia madre sempre su questa onestà che avrei dovuto mantenere ad ogni costo…la cosa cominciava a darmi parecchio fastidio se mi guardavo indietro e il risultato era che l’onestà certo non dava benessere e comodità…però chissà perché ,ogni volta che mi accadeva di trovarmi di fronte a qualcosa ,che mi poteva costringere a rinunciare al mio modo di essere, quelle parole mi tornavano in mente…beh è parecchio difficile rifare il cammino di rinuncia in nome dell’onestà e quando ti sei abituato, hai conquistato altro per te soltanto e difficilmente cambi e torni indietro.

Ma ecco che la vita poi ti sommerge con tutte le sue esperienze e cominci a prendere colpi su colpi e ti passano accanto persone che proprio di onestà non parlano, anzi non sanno che cosa sia e tu passi per una esaltata o peggio ancora una stronza, addirittura una incapace di liberarsi degli insegnamenti ricevuti ormai desueti.

Nel frattempo ti accorgi che gran parte della società è fatta di disonesti, anzi peggio ancora di ladri, di quelli che non guardano in faccia a nessuno pur di prendere il più possibile e arricchirsi a dismisura. Ti accorgi che l’unico modello di vita di riferimento è fatto di questo..di disonestà perché l’unico che ti consente di avere, di apparire, di comandare ,di esserci ,mentre tutti gli altri gli onesti diventano invisibili, quasi inutili …

A cosa è servito, ti chiedi, aver vissuto rinunciando in nome di un valore che non esiste più????? Però poi guardi dentro te stessa e dici: è valsa la pena, perché ho davvero qualcosa che gli altri devono conquistare ancora e per questo è un bene prezioso.
(Angela)

domenica 28 novembre 2010

Una CGIL irriconoscibile

Si canta Bella Ciao che è certamente una bellissima canzone dell'antifascismo che unisce, ma le note dell'Internazionale e dell'Inno dei Lavoratori che hanno accompagnato per tutto il Novecento il movimento operaio e che sono parte della nostra stessa identità non si sentono. Le nuove generazioni rischiano di non conoscerle. Eppure in quelle note sono riassunti gli ideali del socialismo e del sindacalismo di emancipazione, autonomo e conflittuale con governo e padronato. La folla convenuta al comizio convocato dalla CGIL è numerosa ma non è certamente né felice né allegra. In grande parte è costituita da cassintegrati o licenziati dalla Gelmini, da pensionati e da studenti in lotta contro la controriforma universitaria. Sono la espressione di un paese in grande sofferenza, impoverito, umiliato dalla continua sottrazione di diritti, senza futuro, un paese che si aspetta una parola di chiarezza dalla sua più grande organizzazione, parola che non verrà dallo sfuggente ed equivoco discorso di Susanna Camusso.
Colpisce la distanza tra la voglia di liberazione della folla sgomentata da una crisi pilotata da forze che puntano al suo annientamento sociale, alla sua sottomissione, a tutte le umiliazioni che Marchionne e la Marcegaglia avranno il piacere di infliggerle e le risposte, le indicazioni che vengono dal discorso della segretaria della CGIL assai circospette, scaltre, misurate per non dispiacere molto la Marcegaglia e non mettere in imbarazzo il PD che tira la volata alla Fiat ed alla Coop e non ha voglia di impegnarsi.
Cinquecentomila posti di lavoro vengono falcidiati da una misura amministrativa di Brunetta sul turnover nella pubblica amministrazione e dal licenziamento di duecentomila insegnanti. Questo mezzo milione di persone prima di essere liquidato è stato diffamato a lungo dai governanti come ora le libere università italiane vengono diffamate riducendole soltanto ad un fenomeno di baroni e di privilegi familistici prima di essere liquidate martedì prossimo da una legge alla quale Fini ha garantito il suo appoggio nonostante i suoi contrasti con Berlusconi.
Viene ricordata dalla Camusso la crudele legge 1441 (collegato lavoro) senza una parola di autocritica, senza dire che la CGIL ha avuto due anni di tempo per combatterla e non lo ha mai fatto tranne qualche piccola ed insignificante protesta nei passaggi più cruciali ma sempre a cose fatte. Una legge fatta per impedire con lacci e laccioli ai lavoratori di ricorrere al giudice e, se riescono a farlo, di riceverne giustizia.
Mi ha colpito la grettezza burocratica e la meschina visione provincialistica della Camusso. L'Europa è in fiamme sotto l'attacco della speculazione finanziaria e le spinte dei governi di destra per ridurre i salari ed i diritti dei lavoratori dappertutto ed impoverire le loro famiglie con meno welfare: Francia, Irlanda, Grecia, Portogallo hanno registrato grandi e ripetuti scioperi generali per la scuola, le pensioni, i posti di lavoro. Questo scenario europeo non viene mai citato, ma Sacconi e Tremonti hanno avuto modo di pavoneggiarsi con i loro colleghi europei per avere ottenuto una "riforma delle pensioni" senza una sola ora di agitazione. La via di una iniziativa internazionalista della CGIL non viene mai indicata ed il sindacato italiano si limita a tentare di gestire le conseguenze di quanto avviene.
La manifestazione era dedicata ai giovani ed al loro futuro. Ma la Camusso si è guardata bene dal mettere in discussione la legge trenta ed a chiedere per i giovani e quanti non sono protetti dal contratto il Salario Minimo Garantito che scoraggerebbe la continua discesa delle retribuzioni.
Le parole del Governatore della banca d'Italia, il liberista Draghi, contro il precariato che depaupera il capitale umano e priva di futuro la nazione risultano assai più vicine ai bisogni dei giovani della meschina apertura della Camusso che si limita a denunziare la questione dei sessanta giorni posta dalla 1441 ed a chiedere una riduzione del ventaglio di elusioni contrattuali previste dalla Biagi. Non mi aspettavo proprio che la CGIL si mettesse dalla parte meno illuminata del pensiero liberistico.
Tutto il resto del comizio è stato misurato per non dispiacere troppo Sacconi che oggi ricorda alla CGIL che in regime bipolare il sindacato non deve essere all'opposizione del governo e della Confindustria se non vuole essere escluso dal "tavolo" (sic!!!)
La deriva a destra di questo Paese riceve dalla manifestazione del 27 una accelerazione dal momento che nessun freno è stato posto all'iniziativa della destra devastatrice dei diritti Il Parlamento è tutto schierato con il blocco sociale che esclude i lavoratori e che continua a trasferire risorse dai loro redditi a vantaggio dei ceti imprenditoriali. Con una CGIL inerte alle voglie del padronato e del governo l'Italia si squilibrerà ancora di più ed il vuoto che si apre a sinistra rischia di generare tensioni insostenibili.
Viene meno il ruolo di reiquilibrio sociale e politico che veniva assolto dal sindacato conflittuale e che si traduceva in un bene per l'intero Paese. Tutto rotola verso il peggio.
Pietro Ancona


venerdì 12 novembre 2010

VIOLENZA DI CLASSE CONTRO GLI STUDENTI PROLETARI IN INGHILTERRA

L’acre odore della prepotenza barbara dei potenti,attraverso il governo di destra della borghesia britannica (è ora di tornare a chiamare le cose per quello che sono ) torna ad appestare le strade d’Europa. Aumentare le tasse universitarie da 3000 a 9000 euro è solo violenza contro i giovani delle famiglie operaie inglesi.
Gli studenti non ci stanno e si ribellano.
“La crisi la pagheranno i padroni” , lo abbiamo gridato e scritto in tutte le maniere.
La verità è un’altra, ce lo dice Marchionne, ce lo dicono Tremonti/Brunetta, ce lo dice la Gelmini, ce lo dicono i precari della scuola, ce lo dicono gli operai licenziati, i contratti unilateralmente disdetti dai padroni di Finmeccanica, le file di disoccupati che si ingrossano, le famiglie degli operai e degli impiegati che non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese.
Così è in Italia, così è ovunque, dalla Grecia alla Francia.
La crisi viene scaricata, tutta, sui lavoratori e sui poveri della società.
Non possiamo che sentire un senso di profonda gioia quando coloro che sono destinati a subire questa violenza di stato, non neutro, non di tutti, ma strumento di difesa degli interessi dei padroni, di un capitalismo sfacciato e barbaro che difende le sue ricchezze contro i poveri del mondo, si ribellano.

CASA ROSSA

mercoledì 10 novembre 2010

Rilanciamo la lotta per il permesso di soggiorno

Prima Brescia, poi Milano, ora in Tutta Italia!

Rilanciamo la lotta per il permesso di soggiorno per tutti!

Domenica 14 novembre ore 11

Assemblea Nazionale Antirazzista

sotto la torre occupata di via Imbonati a Milano

Le notizie che ci arrivano da Brescia sullo sgombero in atto del presidio dei nostri

fratelli immigrati ci fanno confermare ancora di più la nostra volontà di continuare

con la lotta a Milano. Ora più che mai c'è bisogno di moltiplicare le iniziative. Non

solo la gru di Brescia e la torre di Milano ma dobbiamo far crescere in ogni città le

iniziative di lotta nelle forme e nei modi che ogni città creda più conveniente. Ma

per sostenere la lotta degli immigrati a Brescia e Milano dobbiamo farla crescere a

livello nazionale!

Per questo in accordo con i nostri fratelli di Brescia abbiamo lanciato una riunione

nazionale di tutte le associazioni di immigrati, le realtà antirazziste, le

associazioni laiche e cattoliche, le organizzazioni sindacali per domenica 14

novembre alle ore 11 a Milano.

Crediamo che sia necessario che tutte le realtà a livello nazionale si trovino e

discutano insieme sul come proseguire la lotta per il permesso di soggiorno per tutti

e contro la sanatoria truffa ed insieme costruire un percorso di lotta.

Vi giriamo per conoscenza un testo che stiamo utilizzando a Milano come piattaforma

di lotta e sul quale stiamo chiedendo le adesioni alle realtà milanesi. In questo

testo si menziona anche l'appuntamento della manifestazione nazionale. Domani nella

conferenza stampa che abbiamo programmata distribuiremo questo testo e anche una

proposta tecnica in merito alla sanatoria.

Comitato Immigrati – Milano
Dalla Torre di Via Imbonati: appello alla mobilitazione
Ora siamo stanchi: permesso di soggiorno subito!
Appello alla mobilitazione e convocazione di un’assemblea nazionale.
(Orgoglio operaio facebook)

lunedì 8 novembre 2010

Fame di crescere

Il Sudafrica già produce un terzo del prodotto interno lordo continentale e non smette di correre. Ora punta allo sviluppo del nucleare civile, in accordo con la Corea del Sud. Rimane il fatto che gran parte delle popolazione nera non partecipa al banchetto. Dopo il successo dei Mondiali di calcio – uno straordinario biglietto da visita in mondovisione di un paese e di un continente che stanno cambiando –, il Sudafrica continua a pensare in grande. Il Moses Mabida Stadium di Durban e tutta l’area attorno ad esso saranno al centro della candidatura della Nazione Arcobaleno per le Olimpiadi del 2024, che è la prossima ambizione a cui tendono i politici visionari di questo paese. Lo stadio di Durban è, forse, quello più bello e avveniristico tra i dieci che hanno ospitato la Coppa del Mondo: ha l’ovale sormontato da un enorme arco centrale in acciaio, lungo 305 metri e alto, al centro, 105 metri, che comincia con due braccia che diventano un solo braccio dall’altra parte, come la bandiera del Sudafrica. A simboleggiare due popoli diversi e divisi che si avvicinano. E non è tutto. Il Sudafrica da solo produce un terzo del prodotto interno lordo dell’intero continente. È il primo stato africano entrato a far parte del G 20. Si può dire: in rappresentanza di tutti gli altri.Se si osserva la classifica delle prime 50 imprese africane per fatturato, si scopre che 32 hanno sede in Sudafrica. E non sono aziende piccole. Sab Miller (South African Breweries) è insediata in 10 paesi africani, dove ha aperto 30 impianti di produzione e imbottigliamento, mentre in altri 18 paesi è associata con partner locali. Ormai è il primo produttore di birra, non solo dell’Africa, ma del mondo. La banca sudafricana Standard Chartered ha 1.100 filiali, 5mila bancomat e oltre 10mila dipendenti in 16 stati africani. La Mtn, operatore di telefonia mobile, main sponsor dei Mondiali di calcio (più di Nike e di Mc Donald’s), è il principale operatore telefonico nell’Africa centro-occidentale, con più di 40 milioni di abbonati. Sasol, la società energetica che produce il 95% dell’elettricità del paese, estrae petrolio e gas in Nigeria e Mozambico, e opera in Mali e Uganda.
Ripeto: non stiamo parlando di piccole realtà. L’ultima società in classifica per fatturato, nella top 50 delle major del continente, è il gruppo di assicurazioni sudafricano Liberty, che ha un giro d’affari di 2,4 miliardi di dollari l’anno.
In molti si sono accorti della corsa dell’economia sudafricana. L’americana Wal-Mart, primo gruppo al mondo della grande distribuzione, prepara l’espansione in Sudafrica: ha appena portato a termine l’acquisizione, con 4,2 miliardi di dollari, della Massmart, la terza catena di negozi nel paese, che opera in 12 nazioni africane attraverso una rete di 290 punti vendita. La mossa di Wal-Mart, che ha più di 4mila centri commerciali sparsi in 14 paesi, sarebbe legata all’attuale debolezza del mercato statunitense, che sta spingendo la società al taglio dei costi e alla crescita a livello internazionale.
Dai supermercati alle centrali nucleari… La Corea del Sud, poche settimane fa, ha firmato un accordo di cooperazione con il Sudafrica per lo sviluppo del nucleare civile. Nel corso dell’incontro bilaterale a Seoul con il vicepresidente sudafricano Kgalema Motlanthe, il presidente sud-coreano Lee Myung-Bak ha ribadito l’intenzione d’incrementare l’export della tecnologia nucleare sud-coreana e di «partecipare attivamente allo sviluppo di progetti energetici, in particolare alla costruzione di centrali nucleari in Sudafrica». Poco prima, il ministro sudafricano per l’energia, Elizabeth Dipuo Peters, e un responsabile sud-coreano del ministero degli esteri avevano firmato un accordo di cooperazione nucleare riguardante i settori della ricerca, dello sviluppo e dello scambio di personale. Il Sudafrica ha messo a punto un piano di sviluppo energetico a lungo termine, che prevede anche la costruzione di centrali nucleari, ha precisato alla France presse Thabo Masebe, portavoce del vicepresidente Motlanthe.
Tuttavia, nonostante i suoi recenti successi economici, il Sudafrica è ancora diviso, non più dal colore della pelle, ma dal contrasto economico tra i ricchi – la nuova classe media, anche di colore – e la gran parte della popolazione nera, maggioritaria nel paese, che convive ancora con il fantasma della miseria, con un reddito pro capite di due dollari al giorno, con una forte disoccupazione, con un sistema scolastico scadente e con tassi di criminalità tra i più elevati al mondo. (da Nigrizia - novembre 2010)

domenica 7 novembre 2010

Ieri Brescia, oggi Milano, domani in tutta Italia,gli immigrati si organizzano


Immigrati raccolti sotto la ciminiera di via Imbonati, a pochi passi da piazzale Maciachini, periferia Nord di Milano densamente abitata da stranieri. Sopra i loro occhi, a circa quaranta metri d’altezza sette ragazzi protestano da due giorni: chiedono una «sanatoria per tutti», perché «immigration is not a crime», spiega uno striscione pendente dall’ex camino industriale della farmaceutica «Carlo Erba».

Dopo Brescia, anche a Milano i migranti manifestano per ottenere la regolarizzazione. Sospesi, sulla ciminiera, ci sono cinque egiziani, un argentino e un marocchino, tutti sotto i quarant’anni. Sul piazzale un gazebo, due tende e un centinaio di persone a dargli sostegno. Fa freddo, soprattutto di notte, ma loro dicono di voler andare avanti fino a quando non avranno dal governo le risposte che aspettano. A mediare è la prefettura. Le richiesta sono sei, dice Najat Tantaoui, combattiva portavoce del Comitato Immigrati in Italia, presidente dell’associazione Dialogo, titolare di una cartoleria e mamma di quattro bambini «nati in Italia e che si sentono italiani, cosa di cui sono fiera». Sei richieste, dicevamo. Innanzitutto un passo indietro rispetto alla «sanatoria truffa del 2009», quella che permetteva di mettere in regola colf e badanti. Continua Najat: «Molti di noi da lavoratori hanno cominciato a pagare i contributi Inps ma aspettano ancora la regolarizzazione. Tanti altri invece hanno denunciato i datori di lavoro che chiedono di essere pagati per avviare le pratiche». Una sorta di pizzo sui documenti. Ma non ci sono solo colf e badanti. C’è la richiesta del diritto di voto per chi è residente da almeno cinque anni. Il diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia. Il prolungamento dei termini di scadenza del permesso di soggiorno quando si perde il lavoro. Riprende Najat: «Quelli che hanno perso il posto per via della crisi hanno solo sei mesi per trovare un’altra occupazione. Scaduto il permesso devono andare via. Noi chiediamo un proroga di due anni». Infine «il riconoscimento dei rifugiati politici come esseri umani».

Migliaia a Brescia
Rivendicazioni simili a quelle avanzate dai cinque stranieri di Brescia che da più di una settimana si trovano su una gru nel cantiere della metropolitana di piazzale Cesare Battisti, in centro città. Sono saliti a 35 metri d’altezza dopo lo sgombero di un loro presidio e gli scontri con le forze dell’ordine. Dopo il «no» del prefetto alla richiesta di permesso di soggiorno, con loro ieri alcune migliaia di persone hanno manifestato con un corteo. Nella folla c’era anche un gruppo di genitori di Adro, il comune famoso per la scuola in cui sono stati collocati circa 700 simboli del sole delle Alpi. La giornata di proteste migranti ha fatto registrare anche una manifestazione a Sassari, dove qualche giorno fa due stranieri sono stati aggrediti. Circa duecento persone hanno sfilato dietro lo striscione «No violenza, no razzismo».
volete portare la vostra solidarietà e il vostro sostegno al presidio permanente di via carlo imbonati a Milano?
ecco indirizzo mail e numero di cellulare
comitatoimmigratiitalia.milano@gmail.com
320.0118441

sabato 6 novembre 2010

FIRMA LA PETIZIONE

Ci risiamo.
Il 21 Ottobre, La Corte Speciale ha condannato a morte altri quattro bambini, ritenuti colpevoli di aver partecipato all'assalto di un convoglio in Sud Darfur, nel maggio 2010. Solo due minorenni sono stati sottoposti a visite mediche per verificarne l'età, come prevede il Sudanese Child Act, approvato dallo stesso Governo, che proibisce l'esecuzione di minori di 18 anni.
Firma anche tu l'appello di Italians for Darfur, affinchè la pena di morte venga commutata in altra pena. Circa 15.000 persone lo hanno già fatto in sole tre settimane, in occasione della precedente denuncia di Italians for Darfur, consacrandone il successo con la sospensione della pena. Anche questa volta, speriamo, grazie alle vostre firme, di recapitare in breve tempo il nostro appello alle autorità sudanesi".
Antonella Napoli, Presidente di Italians for Darfur
Un appello per chiedere la sospensione definitiva delle condanna a morte di sei bambini di etnia Fur accusati di far parte del Justice and Equality Movement, uno dei movimenti ribelli piu' importanti del Darfur. Come appreso dal Sudan Tribune lo scorso novembre, la sentenza non e' ancora esecutiva, per questo chiediamo che essa venga ufficialmente cancellata.
Anche Articolo 21 e altre associazioni hanno raccolto e rilanciato l’iniziativa promossa da ‘Italians for Darfur’ che continua a denunciare la violazione dei diritti umani in Sudan. I sei minori, di eta' compresa tra gli 11 e i 16 anni, sono accusati con altri 150 guerriglieri di aver partecipato all’attacco del 2008 nella capitale sudanese che causo' oltre 300 vittime.
Il tribunale di Khartoum ha emesso finora oltre 100 condanne a morte, molte delle quali gia' eseguite. Con questo appello chiediamo al Governo sudanese di sospendere la sentenza ma anche di approfondire le responsabilita' del coinvolgimento di questi bambini in azioni di guerra. Va accertato se il Jem, come purtroppo al momento possiamo solo supporre, abbia impiegato bambini soldato nell’attacco a Khartoum e se continui ad arruolare minorenni sottraendoli con la forza alle loro famiglie, negando cosi' loro di vivere l’infanzia e l’adolescenza che sono a loro dovute.

FIRMA LA PETIZIONE

Firme raccolte allo stato attuale = 15460
LINK X FIRMARE
http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione/

martedì 2 novembre 2010

SCOPPIA IL FALLIMENTO DELLE ECO-BALLE RACCONTATE DA BERTOLASO E BERLUSCONI


Il giorno martedì 2 novembre 2010 alle ore 9.16


"Scoppia il fallimento delle (eco)balle raccontate dalla coppia diutilizzatori finali Berlusconi e Bertolaso – tra i più grandi azionisti della costituenda Italia SPA – e il sultano di Arcore subito cerca di aprire di soppiatto, come un mariuolo, la seconda discarica aTerzigno. La manovra fallisce per la reazione del popolo". Lo scrivesul suo blog Luigi de Magistris, che aggiunge: "il giocatore delle tre carte – spalleggiato dal massaggiato coinvolto nell’inchiesta sullacricca piduista – non volendo risolvere alla radice il problema,perché intende preservare le logiche affaristiche e gli interessi delcrimine organizzato, sposta l'immondizia cercando di farla passareinosservata". Secondo l'eurodeputato Idv, "stanno cercando dovedepositare la munnezza. A Taverna del Re, a Giugliano, un’altravolta", mentre partono "i camion per la Calabria, altra regione usata come pattumiera dagli (eco)mafiosi", per altro "con l’assenso di Peppeo’ ponte, il Presidente che pensa che il futuro della Regione siano inceneritori, nucleare e il ponte".




Giunta comunale, Questura, Prefettura : tutti contro i migranti

Cariche di polizia e carabinieri contro il corteo degli immigrati e degli antirazzisti in Via S Faustino per impedire alla manifestazione di raggiungere piazza Cesare Battisti dove 9 immigrati sono saliti sulla gru del cantiere della metropolitana. La giunta comunale aveva vietato la manifestazione con una decisione liberticida utilizzando come pretesto una adunata degli alpini che si svolgeva in un’altra zona del centro storico. Oltre un migliaio di persone, nonostante una pesantissima militarizzazione dell’intera zona, si sono concentrate in piazza Rovetta e verso le 15,45 si sono dirette verso piazza Cesare Battisti.All’altezza di via S faustino uno schieramento di carabinieri e polizia del reparto di Padova ha bloccato la strada: qui sono avvenuti gli scontri, una decina di antirazzisti e immigrati sono rimasti contusi e Sauro, attivista di Sinistra Critica e collaboratore di Radio onda d’urto, e’ stato arrestato; un migrante del coordinamento immigrati CGIL ha dovuto ricorrere alle cure del pronto soccorso. A Sauro e’ stato confermato l’arresto ma e’ stato rilasciato dopo forti pressioni dei manifestanti: sara’ processato per direttissima martedi’ mattina. I 9 immigrati sulla gru, rappresentanti delle comunita’ egiziana, senegalese, indiana, pachistana e marocchina, hanno dichiarato che non scenderanno se non sara’ aperta una trattativa a livello nazionale per la regolarizzazione di tutte le persone che hanno fatto domanda di sanatoria colf e badanti e se non sara’ consentito il ripristino del presidio permanente; durante le cariche, infatti, il vicesindaco leghista Rolfi ha inviato le ruspe a distruggere proditoriamente il presidio di via lupi di Toscana davanti all’ufficio della prefettura; la baracca, i letti, gli effetti personali dei presidianti sono stati completamente distrutti. Ora un centinaio di immigrati ha trovato posto per questa notte in locali accanto alla gru messi a disposizione dal parroco di S Faustino Don Nolli. Da Brescia viene lanciato un appello a livello nazionale di cominciare o rilanciare immediatamente la mobilitazione per sanatoria: non lasciamo soli i nostri 9 fratelli sulla gru! Tutti davanti al tribunale martedi’ al processo di Sauro.

Peccato che i media sono tutti presi da" altro"







 

LASSU' A 30 METRI DA UNA TERRA VOLGARE

Quanto accaduto Sabato 30 Ottobre a Brescia, in occasione della manifestazione dei migranti, ci consegna in modo inequivocabile il livello dell’imbarbarimento a cui la nostra città è sottoposta. Già nel primissimo pomeriggio Brescia sembrava una piccola tristissima Genova. Il centro storico completamente militarizzato, con le forze dell’ordine che avevano di fatto istituito una specie di “zona rossa”, per impedire a migranti e manifestanti di raggiungere il concentramento della manifestazione. Manifestazione assurdamente non autorizzata col ridicolo pretesto che andava a contrastare le celebrazioni degli Alpini nella vicina P.za della Loggia. Ma nessuno voleva rovinare la festa delle “penne nere”, nessuno voleva sovrapporsi a loro, e si è disperatamente cercato una mediazione per fare in modo che la manifestazione si tenesse, anche attraverso percorsi alternativi. E’ stato tutto inutile e il diktat della questura è stato perentorio e intransigente: nessun corteo e nessuna manifestazione avrebbero dovuto farsi. E così è stato; le moltissime persone confluite ugualmente in Largo Formentone, sono state strette tra due nutritissimi cordini di polizia, gli sono stati fatti vedere i muscoli con una piccola “carica di alleggerimento” e gli è stato in tutti i modi impedito di muoversi per manifestare la propria indignazione sulla ingiusta e disumana vicenda della sanatoria negata a moltissimi migranti.
Ma non si è tenuto conto del livello di disperazione e della determinazione di queste persone, a cui leggi assurde e incivili negano il più elementare dei diritti: quello di esistere ! Una decina di loro si è arrampicata sulla gru del cantiere della metropolitana , e asserragliati a quell’altezza impressionante, resistono in condizioni impossibili, chiedendo il rispetto e l’accoglimento dei loro diritti.
Là, tra la terra e il cielo, in quell’abissale vertigine di 30 metri, sta il senso più totale del degrado e dell’imbarbarimento della nostra società. Da una parte la speranza di persone che chiedono solo la possibilità di vivere, lavorare e avere un futuro, dall’altra la vergogna di istituzioni preoccupate solo di garantire il passeggio nel centro e di rendere invisibili le proteste e le persone. Da una parte c’è la bellezza e la dignità della voglia di vivere, dall’altra le fauci spalancate e i muscoli esibiti da un potere preoccupato solo di difendere il suo interesse e lo squallido luccichio delle sue carte di credito.
Il punto più atroce di questa vicenda è stato toccato con lo smantellamento del presidio che da oltre un mese vedeva impegnati i migranti in Via Lupi di Toscana. Un’ autentica rappresaglia il cui “modus operandi” ci ricorda pagine che credevamo definitivamente cancellate dalla storia. Le ruspe di Paroli e Rolfi hanno raso al suolo l’accampamento dei migranti, la casetta comprata coi soldi delle sottoscrizioni, la mobilia, le attrezzature , le masserizie, tutto è stato letteralmente distrutto e eliminato con un’arroganza, un cinismo e una prepotenza senza eguali.
E’ stato uno spettacolo indecoroso , vergognoso e disumano di cui qualcuno dovrà render conto. Uno spettacolo che marchia in modo indelebile le forze politiche che guidano la povera Brescia. Uno spettacolo che, ancora di più, ci fa scegliere da che parte stare. Lassù con i nostri fratelli migranti. Lassù a 30 metri da una terra troppo volgare
(da Sinistra a Gussago)

sabato 30 ottobre 2010

Quanto vale un burundese?

Attorno agli ottomila euro, circa un decimo rispetto alla vita di un italiano. Proprio così: la sentenza che ha ridotto il risarcimento ai familiari di un lavoratore morto «perché era albanese» si basa su una tabella ufficiale del ministero. Che ha effetti agghiaccianti.
La notizia è di ieri: un giudice del tribunale di Torino ha deciso che per stabilire l’ammontare del risarcimento danni da corrispondere ai familiari di un morto sul lavoro occorre fare riferimento al reale valore del denaro nell’economia del paese ove costoro risiedono.
Nel caso di specie, poiché si trattava di un lavoratore albanese, il giudice ha ritenuto di utilizzare come parametro legale il coefficiente di conversione della parità di potere d’acquisto tra Italia e Albania contenuto nella tabella di cui al Decreto del Ministero del Lavoro del 12 maggio 2003, pari a 0,3983: posto pari a 72.300 euro il risarcimento che spetterebbe a ciascun genitore italiano di una persona morta sul lavoro, e tenuto conto che nella circostanza il giudice ha attribuito al lavoratore deceduto un concorso di colpa del 20%, il risarcimento dovuto ad ognuno dei suoi genitori è venuto fuori dal semplice calcolo che segue:
72.300 X 80% X 0,3983 = 23.038
oltre, naturalmente, agli interessi legali sull’importo dovuto, che hanno portato il risarcimento definitivo a circa 32.000 euro.
Bene, sono andato a ripescarmi la tabella a cui ha fatto riferimento il giudice nella sentenza, e ho provato a calcolare quanto sarebbe dovuto, utilizzando lo stesso criterio ed ipotizzando per comodità un concorso di colpa del danneggiato analogo a quello in esame, a ciascun genitore di un morto sul lavoro proveniente da altri paesi, per i quali il coefficiente di conversione è ancora più basso di quello relativo all’Albania.
Supponiamo, ad esempio, che si trattasse di un lavoratore dello Sri Lanka, paese per il quale il coefficiente di conversione è pari a 0,2501: in tal caso la somma dovuta a ciascuno dei suoi genitori, fatti salvi gli interessi legali, sarebbe stata pari a:
72.300 X 80% X 0,2501 = 14.466
Un po’ pochino rispetto a un lavoratore italiano, vero? Ma c’è di peggio. Se il lavoratore fosse stato dell’Uganda il coefficiente di conversione da utilizzare sarebbe stato pari a 0,1834, e quindi ancora più basso rispetto a quello del suo collega cingalese, con la conseguenza che se l’incidente mortale sul lavoro fosse capitato a lui a ciascuno dei suoi genitori sarebbe andata la somma di:
72.300 X 80% X 0,1834 = 10.608
Siamo, ne converrete, su un livello molto basso: eppure ci sono casi ancora peggiori. Se si fosse trattato di un lavoratore proveniente dal Burundi il tasso di conversione sarebbe stato appena 0,1342, con la conseguenza che il risarcimento dovuto a ciascuno dei suoi genitori in caso di morte sul lavoro sarebbe stato pari a:
72.300 X 80% X 0,1342 = 7.762
Capito? Secondo il criterio utilizzato a Torino la vita di un essere umano, per il solo fatto che costui proviene da un paese sfigato, può valere meno di ottomila euro, ammesso e non concesso -circostanza non scontata, visti i livelli della mortalità dei paesi in via di sviluppo- che gli sia rimasto almeno un genitore vivo.
Ditemi la verità: non provate anche voi un brivido gelido di terrore?

mercoledì 27 ottobre 2010

A (S)proposito del lodo Alfano

Esattamente un anno fa, quando per la prima volta il lodo Alfano venne bocciato per anticostituzionalità, scrissi una pagina sul mio blog...... sono andata a rileggerlo e, mi è piaciuto perchè DISSACRANTE e IRRIVERENTE .......... Lo propongo a voi con l'intento di farvi sorridere


(IO) LODO
( Io ) LODO ALFANO per essere stato tanto asino da farsi bocciare
( Io ) LODO ALFANO per essersi prestato a fare una pessima figura
( Io) LODO ALFANO per essersi meravigliato della sentenza
( Io) LODO ALFANO perché una ne ha fatta e una ne ha persa!
( Io) LODO ALFANO perché nel tentativo di lodar(Lo) lo ha imbrodato!!! Chi si loda si imbroda!!!
( Io) LODO ALFANO per aver accettato la poltrona di Guardasigilli credendo di dover stare a guardare qualcosa e ha dovuto guardare qualcuno!
( Io) LODO ALFANO perché passerà alla storia...... da dimenticare
( Io) LODO ALFANO perché ha un nome perfetto ( Angelino ) per fare il custode del SUO Presidente
( Io) LODO ALFANO perché insieme ai due colleghi Pecorella e Ghedini può cantare… e siamo rimasti in tre.. tre somari e tre briganti….
E dopo tutte queste laudi mattutine, che manco un monaco benedettino,
auguro a tutti una felice giornata

di Dora Benedetto Facebook

martedì 26 ottobre 2010

Il razzismo è nell'aria che respiriamo

Prima l’ha insultata, e poi, non soddisfatto, l’ha strattonata e presa a sberle. Non è il classico litigio tra due automobilisti per una precedenza non rispettata, e non riguarda due adulti.

Protagonisti della vicenda sono un uomo e una ragazzina di tredici anni. La colpa di quest’ultima sarebbe stata quella di non spostarsi velocemente per lasciar passare un suv. Il tutto è avvenuto fuori da una scuola media. Il gagliardo non si è mica accontentato di alzare le mani, ma ha inveito contro la studentessa con parole cariche di odio razziale. “Negra di m., torna al tuo paese, cosa sei venuta a fare qua, deficiente, scema, pezzo di m.” A tutt’oggi non si conoscono le generalità dell’uomo.

Un episodio simile era successo a Varese, su un autobus di linea, esattamente tre mesi fa. Allora i protagonisti furono un autista, fuori servizio, e una ragazza brasiliana.

A questi gesti non possiamo passarci sopra con due frasi di circostanza e qualche battuta. È necessario rifletterci e seriamente. Cosa ci sta succedendo? Cosa può generare simili comportamenti in un adulto, che se la prende con una ragazzina? Cosa potrà insegnare quest’uomo ai propri figli? Cosa significa “torna al tuo paese”? E potremmo aggiungere domande su domande.

Due aspetti della vicenda inquietano profondamente però. La prima riguarda la violenza con cui si è espresso l’uomo. Insulti inqualificabili confermano che “il razzismo è nell’aria come le polveri che respiriamo”. La frase dell’ultimo film di Veronesi riassume in modo perfetto quanto sta accadendo dentro le nostre comunità. Questo non significa che Varese è razzista. Certo però che, anche il nostro territorio non è affatto esente da comportamenti violenti come quello appena raccontato. Occorre perciò vigilare e non nasconderci o minimizzare. Qui, oltretutto, abbiamo a che fare con ragazzi giovani che resteranno segnati profondamente di fronte a un adulto che insulta e schiaffeggia una loro coetanea.

L’altro aspetto riguarda il senso del tempo. Viviamo di fretta, esasperati, stressati fino a livelli preoccupanti. Un ex assessore ai servizi educativi, alla fine del suo mandato, raccontava che il suo maggior rammarico era stato dover allungare il tempo dell’apertura delle scuole. Una posizione a prima vista contraddittoria, perché quella era la richiesta fatta dalle famiglie e dagli utenti. Lei spiegava però che, così facendo, si sceglieva sempre la via più semplice, più diretta, senza provare a rivedere i tempi della città e della nostra vita.

Facile da raccontare e da scrivere, ma una parte degli schiaffi dell’altro giorno, oltre che da un disprezzo dell’altro, in quanto diverso da me, sono figli di un mondo che va troppo di fretta. Non tutte le persone hanno le risorse per convivere serenamente con velocità dei cambiamenti che viviamo. La paura di perdere qualcosa poi fa il resto.

Per comprare un suv basta un buon conto in banca. Per tutto il resto non basta una carta di credito.
MARCO GIOVANNELLI marco@varesenews.it

sabato 23 ottobre 2010

Una lettera da Terzigno

Buona sera, sono il dott. Nicola Boccia e sono residente a Terzigno. Potrei scrivere centinaia di pagine su quanto sta accadendo a Terzigno, ma mi limito a descrivere i fatti più concreti che poi sono degenerati nell’intifada terzignese. Nel 2008 il sindaco di Terzigno Domenico Auricchio firmava l’apertura delle due discariche nel Parco Nazionale del Vesuvio, patrimonio Unesco. Dopo il ricorso da parte dell’Ente Parco contro la discarica, il governo con proprio decreto scavalcava la legge del parco e consentiva la definitiva apertura delle 2 discariche. Nel 2009 dopo la sfiducia al sindaco Auricchio si ritornava alle elezioni ed il sindaco giurava sulla statua di padre Pio che lui non aveva mai firmato il consenso all’apertura delle discariche e che se fosse risalito avrebbe fatto chiudere anche la discarica n.1. Salito nuovamente disattendeva, ovviamente tutte le promesse. Intanto l’agricoltura che ha reso famosa Terzigno nel mondo grazie al vino Lacryma Christi moriva e l’uva le nocciole e le albicocche del Vesuvio rimanevano invendute a causa della presenza della discarica, facendo perdere centinaia di posti lavoro. Inoltre il territorio è/era caratterizzato dalla presenza di decine di ristoranti aperti grazie alla buona tavola ed al favoloso panorama (il Vesuvio da un lato ed il golfo di Napoli dall’altro) che occupano/vano centinaia di persone ora ridotti in ginocchio a causa dei miasmi della discarica (ed ancora non apre la seconda discarica che è la più grande d’Europa). Detto ciò secondo voi quando una persona perde il posto a causa della discarica e deve vedere i propri familiari ammalarsi di cancro, secondo voi che alternativa ha? Ovvio, scatena l’inferno. Tale inferno non è niente se arriveranno i militari ad aprire la seconda discarica, perchè i più facinorosi impugneranno le armi ed allora, purtroppo, ci saranno molti morti.”Nicola Boccia

domenica 17 ottobre 2010

Il film sugli immigrati via da Treviso. Gobbo: troppo traffico, Bettin: censura

Il set trasloca a Bassano, i leghisti: «Anche qui non lo vogliamo» di Massimiliano Cortivo

TREVISO—«Cose dell’altro mondo ». E’ il titolo del film che da lunedì avrebbe dovuto sbarcare a Treviso. Ma è anche il commento circolato nei corridoi della casa di produzione Rodeo Drive. Che si è vista, di fatto, negare i set in città dal sindaco Gian Paolo Gobbo. Cose dell’altro mondo, appunto. «Non ci era mai capitata una cosa del genere» fanno sapere dall’organizzazione. Di rifare completamente il piano delle location, di disdire le camere d’albergo già prenotate da tempo, di mandare all’aria gran parte del lavoro e di dirottare tutto (o quasi) verso un’altra città veneta, Bassano del Grappa. Il cui sindaco Stefano Cimatti è invece già a braccia aperte: «Per Treviso ci sarebbero stati troppi disagi? Non ne ho idea, noi siamo felicissimi di poter ospitare la troupe. Vuol dire che in città nelle prossime settimane ci saranno due set, quello di Francesco Patierno e quello dei Vanzina, anche loro a Bassano per l’ultimo film. Ma sono tranquillo, sono entrambi distribuiti da Medusa, non si pesteranno di certo i piedi». A puntarli (invece) i piedi, è stato il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo. Che, a sentire la produzione, «avrebbe fatto chiaramente capire che non gli faceva piacere che questo film fosse girato nella sua città». Dal diretto interessato invece un altro tono e, soprattutto, un’altra motivazione dello stop: «Non posso dire di no alle riprese di un film in città - dice Gobbo—ma non posso neanche mettere a disposizione dipendenti del Comune e vigili per la sua realizzazione». Vigili?
«Chiedevano la collaborazione del Comune per la viabilità e la sicurezza, per bloccare strade e circolazione per settimane, volevano anche portare un toro per una scena da girare in piazza dei Signori, non miè sembrato il caso. Ci avevano anche chiesto di girare negli uffici a Ca’ Sugana ma non l’ho ritenuto opportuno ». In realtà la verità pare vada cercata nel mezzo. Qualche perplessità per i disagi, certo, ma anche alcuni dubbi sulla sceneggiatura del film che vedrebbe come protagonista (Diego Abatantuono) un imprenditore che dalla propria tv privata lancia appelli contro l’invasione degli extracomunitari. Plot per alcuni stereotipato. «L’ennesimo tentativo di gettare del fango sulla nostra terra - dice il consigliere regionale leghista (e bassanese) Nicola Finco —, Gobbo ha fatto bene, a Cimatti invece interessa solo apparire, non ha a cuore l’immagine della città». Ipotetici stereotipi che, settimane fa avevano attirato le ire di Thomas Panto: «Quel film offende la memoria di mio padre, sono pronto a querelare tutti», aveva detto. E adesso, che il set emigra a Bassano? «Non abbasso la guardia—dice Panto—ma devo confessare che la decisione di Gobbo mi solleva un po’. Alla fine è meglio così, lontani da Treviso, l’identificazione tra mio padre e l’imprenditore interpretato da Diego Abatantuono sarà forse menoimmediata. Vedremo quando uscirà nelle sale, maforse lo spettatore non farà uno più uno...».
Chi invece non è assolutamente d’accordo con la scelta di Gian Paolo Gobbo è lo scrittore e sociologo veneziano Gianfranco Bettin. «Dire no ad una produzione culturale non è mai un bel gesto — ragiona Bettin —, è sempre un qualcosa di negativo, che stona, che ostacola in qualche modo la libertà d’espressione.Non conosco le motivazioni che hanno spinto il sindaco a negare Treviso, ma alla fine si tratta di un’occasione perduta.Nonpiacevano i contenuti dell’opera? C’era sempre il tempo per criticarli e contestarli a posteriori, una volta uscito il film nelle sale. Ma farlo a prescindere, non so... non mi piace». Più cauta la capogruppo del Pd in Regione Laura Puppato: «Se Gobbo riteneva l’opera dannosa per l’immagine della città ha fatto bene a "chiudere" Treviso ma le valutazioni preventive sono sempre molto delicate...». A Bassano non lo si dice apertamente ma la scelta del sindaco leghista ha fatto stappare qualche bottiglia in Comune: «Macché disagi — dice il primo cittadino Stefano Cimatti — abbiamo tutto da guadagnarci. Io forse un po’ meno. Mi sfratteranno per un paio di giorni dal mio ufficio (ride). Se hanno chiesto anche ame di fare una comparsata? No, sono troppo serio...».

http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/politica/2010/16-ottobre-2010/film-immigrati-via-treviso-gobbo-troppo-traffico-bettin-censura-1703965345026.shtml